Fgci, Giovani Comunisti, Sinistra Democratica, Assopace, I Ken, Liberatorio politico, Sinistra flegrea, UDS, UDU hanno lanciato un appello per la sicurezza sui posti di lavoro.
Ottocento, mille euro al mese? Quanto costa oggi in Italia la vita di un lavoratore? Abbiamo ancora negli occhi la tragedia di Torino, il dolore di sei vite spezzate. L'amarezza e la percezione della sconfitta: la sconfitta di chi ha combattuto per salvare quel minimo di sicurezza oggi possibile, di chi ha combattuto lavorando fino al crollo fisico e psichico, per andare avanti, per non perdere il lavoro, e poi alla fine ha perso, la lotta e la vita, è crollato nel modo più atroce possibile.
Davanti alla tragedia tutto il resto sembra muto: tutti i numeri, tutte le statistiche. Eppure i numeri spiegano più delle tragedie, che purtroppo nell'immaginario collettivo rischiano a volte di durare lo spazio di una commozione. Nello spazio di un dramma umano le cose perdono il loro senso, davanti ai numeri ne acquistano uno inaccetabile: 2,9 morti al giorno nel 2007 sui luoghi del lavoro, 1.328 morti all'anno di media nel triennio 2003/5, 25.034 invalidi, 1.001.482 infortuni denunciati all'INAIL, senza tener conto del lavoro nero e di quello sommerso.
I numeri spiegano che la mattanza è un fenomeno di massa, una variabile pienamente accettata all'interno del sistema produttivo: il costo delle materie prime, gli impianti, il corpo dei lavoratori, sono tutti costi che vanno ridotti al minimo, gestiti con logiche analoghe, come negli anni ruggenti della prima rivoluzione industriale. Migliaia di lavoratrici e lavoratori morti come semplice effetto collaterale di un sistema di produzione che vede il lavoro come il fattore meglio comprimibile: precarizzabile, affittabile, delocalizzabile, appaltabile e subappaltabile.
Non si tratta di escogitare nuovi strumenti tecnici per evitare qualche disgrazia: si tratta di ripensare al ruolo del lavoro, di credere, nuovamente o finalmente, nella superiorità dell'uomo sul profitto.
Noi crediamo che ritmi di lavoro insostenibili, il massiccio ricorso agli straordinari, la mancanza di preparazione specifica sul tema della sicurezza dei lavoratori adibiti alle mansioni più pericolose, l'insufficienza delle strutture di controllo mal finanziate, purtroppo in alcuni casi non esenti da un certo ambiguo permissivismo, siano tra le cause efficienti di una tragedia che non possiamo non affrontare.
La sinistra politica e sociale si sta muovendo nelle istituzioni e nei luoghi del lavoro perché questi nodi più problematici vengano immediatamente affrontati.
Noi, per quello che ci riguarda, lanciamo una sfida culturale e politica, quella di mobilitare la città su questo dramma, di costruire un'opinione che vada al di là della commozione. Proveremo a rappresentare la tragedia, a rappresentarla in mezzo alla gente, davanti alla sede napoletana di Confindustria, perché crediamo che i singoli imprenditori, per le condizioni specifiche degli impianti delle loro aziende, e l'associazione di categoria tutta, per le politiche di cui si fa promotrice, siano i responsabili principali di quest'insostenibile situazione.
Proveremo a rappresentare con i nostri corpi la sconfitta di chi dal lavoro cercava gli strumenti per vivere e ha trovato quelli per morire.
Davanti alla tragedia tutto il resto sembra muto: tutti i numeri, tutte le statistiche. Eppure i numeri spiegano più delle tragedie, che purtroppo nell'immaginario collettivo rischiano a volte di durare lo spazio di una commozione. Nello spazio di un dramma umano le cose perdono il loro senso, davanti ai numeri ne acquistano uno inaccetabile: 2,9 morti al giorno nel 2007 sui luoghi del lavoro, 1.328 morti all'anno di media nel triennio 2003/5, 25.034 invalidi, 1.001.482 infortuni denunciati all'INAIL, senza tener conto del lavoro nero e di quello sommerso.
I numeri spiegano che la mattanza è un fenomeno di massa, una variabile pienamente accettata all'interno del sistema produttivo: il costo delle materie prime, gli impianti, il corpo dei lavoratori, sono tutti costi che vanno ridotti al minimo, gestiti con logiche analoghe, come negli anni ruggenti della prima rivoluzione industriale. Migliaia di lavoratrici e lavoratori morti come semplice effetto collaterale di un sistema di produzione che vede il lavoro come il fattore meglio comprimibile: precarizzabile, affittabile, delocalizzabile, appaltabile e subappaltabile.
Non si tratta di escogitare nuovi strumenti tecnici per evitare qualche disgrazia: si tratta di ripensare al ruolo del lavoro, di credere, nuovamente o finalmente, nella superiorità dell'uomo sul profitto.
Noi crediamo che ritmi di lavoro insostenibili, il massiccio ricorso agli straordinari, la mancanza di preparazione specifica sul tema della sicurezza dei lavoratori adibiti alle mansioni più pericolose, l'insufficienza delle strutture di controllo mal finanziate, purtroppo in alcuni casi non esenti da un certo ambiguo permissivismo, siano tra le cause efficienti di una tragedia che non possiamo non affrontare.
La sinistra politica e sociale si sta muovendo nelle istituzioni e nei luoghi del lavoro perché questi nodi più problematici vengano immediatamente affrontati.
Noi, per quello che ci riguarda, lanciamo una sfida culturale e politica, quella di mobilitare la città su questo dramma, di costruire un'opinione che vada al di là della commozione. Proveremo a rappresentare la tragedia, a rappresentarla in mezzo alla gente, davanti alla sede napoletana di Confindustria, perché crediamo che i singoli imprenditori, per le condizioni specifiche degli impianti delle loro aziende, e l'associazione di categoria tutta, per le politiche di cui si fa promotrice, siano i responsabili principali di quest'insostenibile situazione.
Proveremo a rappresentare con i nostri corpi la sconfitta di chi dal lavoro cercava gli strumenti per vivere e ha trovato quelli per morire.
Il Partito della Rifondazione Comunista e i Giovani Comunisti di Miglionico aderiscono anche loro all'appello!
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