Perché partire dalla sconfitta?
Perché se non teniamo ben presente i motivi per cui abbiamo perso rischiamo di rifare gli stessi errori anche adesso. Due elementi mi paiono da sottolineare. Innanzitutto abbiamo pagato pesantemente il fatto che il governo Prodi ha deluso le aspettative di chi ci aveva votato nel 2006. Questo vuol dire che nel Congresso di Venezia abbiamo sbagliato l'analisi dei rapporti di forza; abbiamo pensato che la sinistra moderata fosse permeabile alle nostre istanze e invece lo era a quelle dei poteri forti. E abbiamo pensato, sbagliando, che la costruzione del programma elettorale fosse una garanzia: del programma ne hanno fatto carta straccia. Insomma, siamo stati velleitari. La seconda ragione è che la Sinistra arcobaleno è stata una operazione politica di vertice, non in grado di esprimere una sua utilità sociale: non se ne è capita l'utilità, il ruolo storico, nel senso gramsciano del termine. Così, "salvare" la sinistra unendone tutto il suo ceto politico, è parso un problema privato nostro, che non riguardava le persone in carne ed ossa. Eccesso di fiducia nella sinistra moderata e politicismo nella costruzione della sinistra. Ecco due errori da tener ben presente per evitare di ripeterli, cosa che mi pare caratterizzi invece il dibattito attuale.
Quando dici «abbiamo», vuoi dire che ti reputi anche tu responsabile della sconfitta?
Certo. La responsabilità della sconfitta è di tutto il gruppo dirigente che ha scelto la linea del Congresso di Venezia. E io sono tra i maggiori responsabili. L'accusa secondo cui avrei scaricato su altri la responsabilità della sconfitta è una bugia, una pura e semplice falsità. In tutti gli interventi ho sempre chiarito che non esistevano capri espiatori e che la responsabilità era di tutto il gruppo dirigente. Questa menzogna è stata fatta circolare ad arte per nascondere i veri motivi della rottura nel gruppo dirigente. Del resto di menzogne sul mio conto ne sono state messe in circolazione così tante in questo mese che ho dovuto rassicurare mio figlio sul fatto che non l'avrei mai mangiato.
Però, allora, non è che sia chiarissimo su cosa si è prodotta la rottura nel gruppo dirigente.
Si è prodotta perché durante la campagna elettorale una parte del gruppo dirigente, a partire da Fausto, ha proposto e attivamente lavorato al superamento del partito, proponendo la costruzione di un nuovo soggetto politico in cui il comunismo diventasse una corrente culturale. Ancora dopo il disastro elettorale questi compagni hanno insistito nel proporre di accelerare il percorso della Costituente della sinistra «con chi ci sta» (cioè noi e Sd). Mi sono quindi trovato davanti ad una inaccettabile forzatura, di scioglimento del partito dall'alto, a cui mi sono opposto in modo netto. Su questo si è rotto il gruppo dirigente. Ho poi trovato incredibile che alcuni di quegli stessi dirigenti che hanno proposto il superamento di Rifondazione oggi neghino quella prospettiva. Non sulla sconfitta ma sulle prospettive politiche si è diviso il gruppo dirigente.
Va bene, tu non vuoi sciogliere il partito. Ma cosa proponi?
Il nostro primo problema è quello di costruire l'opposizione al governo. Berlusconi sta procedendo molto rapidamente, soprattutto su tre fronti: il ridisegno delle relazioni sociali (detassazione degli straordinari; smobilitazione del contratto nazionale di lavoro), cercando di cancellare quel che resta del movimento operaio, facendo con la non belligeranza del Pd ciò che non gli è riuscito nel 2002 soprattutto grazie all'opposizione della Cgil; il rilancio delle grandi opere, dalla Tav al Ponte sullo stretto agli inceneritori; l'uso delle politiche securitarie a fini propagandistici. Se la sinistra non si dà un proprio ruolo politico nella costruzione dell'opposizione, muore sul serio.
E come si fa?
Innanzitutto ripartendo dalle forze che hanno manifestato il 20 ottobre, ma coinvolgendo anche chi non c'era, dai Verdi e Sinistra democratica a tutto l'arcipelago delle forze sociali e dei comitati.
Dimentichi il Pd…
Non lo dimentico affatto, né mi sogno di fare un'opposizione fatta di vuoto estremismo, come paventa Nichi Vendola. Solo che dobbiamo partire dalla realtà e non dai desideri. I discorsi di Fassino e Veltroni durante il dibattito sulla fiducia a Berlusconi sono consociativi. E non possiamo ignorare che la maggioranza della Cgil sta scegliendo modifiche contrattuali che indeboliscono il contratto nazionale. In questo quadro, l'unica strada per restituire un ruolo politico alla sinistra e contemporaneamente per aprire contraddizioni dentro il Pd, è di costruire un movimento forte, una opposizione sociale ampia e articolata sui territori. Non è che basta dire al Pd "fai opposizione" perché succeda qualcosa: dovremmo avere imparato, stando dentro la maggioranza di Prodi, che il Pd non è permeabile alle nostre istanze. E poi: il Pd ha lavorato per la scomparsa della sinistra e adesso dovrebbe costruire un'opposizione con noi? Se, come io credo, le due sinistre esistono e noi siamo alternativi strategicamente al Pd, proprio per non essere minoritari dobbiamo costruire la nostra forza e la nostra ragione storica di esistenza a partire dal radicamento e dal conflitto sociale.
Cosa diversa è costruire relazioni con quella parte del Pd che, per esempio sul terreno della riforma della legge elettorale per le europee, è indisponibile a cancellare la sinistra innalzando la soglia di sbarramento. Ma non si può confondere questo con la necessità della costruzione dell'opposizione sociale.
Intendi dire: unire la sinistra a partire dalle pratiche sociali?
Sì, la nostra sconfitta è stata sull'utilità sociale e da lì dobbiamo ripartire. Proprio per questo sono contrario alla Costituente della sinistra, così come a quella comunista; queste proposte invece di unire spaccano la sinistra su appartenenze ideologiche. Ottenendo l'effetto, l'una di finire in un eccesso di subalternità al Pd, l'altra di ridursi ad un mero ruolo testimoniale. Le costituenti politiche, di fatto, impediscono la nascita di un movimento unitario, che è, invece, la cosa di cui abbiamo più bisogno oggi: alimenteremmo la concorrenza invece dell'unità. Quello che voglio dire è che non possiamo mettere avanti i processi di aggregazione politica rispetto ai percorsi di ricostruzione sociale. Il punto è la forza della sinistra alternativa, la sua capacità di realizzare un insediamento sociale, la sua capacità di lotta: da qui può partire un progetto politico, non viceversa. Io penso ad una rete di relazioni stabili tra soggetti organizzati e singoli, ad un processo con le gambe per terra, perché o si parte dal sociale o non si va da nessuna parte.
E il comunismo?
Dopo la tragedia del 900, oggi si rischia la farsa. Tra chi lo vuole imbalsamare nei baffoni di Stalin e chi lo riduce ad una "domanda", rischiamo il rovesciamento del comunismo in idealismi religiosi di varia natura e di dubbia utilità o nel chiamare comunismo il buon senso di non procedere per dogmi ma interrogandosi su ciò che accade intorno.
E invece?
Invece, per me comunismo è proprio il marxiano movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Cioè la capacità di costruire lotte e percorsi sociali, in cui la difesa degli interessi materiali delle classi subalterne coincide il più possibile con la rottura dei rapporti di potere - e qui c'è tutto il tema della rivoluzione: o il conflitto si pone il problema della rottura dei rapporti di potere, o è destinato ad essere subalterno - e con la maturazione della coscienza di sé. Insomma, il comunismo è il contrario dell'idea religiosa; chiamiamo comunismo il percorso di autocostruzione del soggetto della trasformazione; è la capacità di capire dove si è e cosa bisogna fare per cambiare; è l'intreccio tra l'analisi, la costruzione del confitto e la riflessione sullo stesso. Tanto più necessario oggi in quanto siamo alle prese con una crisi profonda della globalizzazione, alla quale il liberismo temperato non è in grado di dare risposte, mentre la destra presenta il suo volto "rivoluzionario", costruendo l'immaginario collettivo su un "nemico" (l'Ue, la Cina, l'immigrato, lo zingaro). A questa destra populista o contrapponiamo una radicalità altrettanto forte, comunista, oppure vince la guerra tra poveri.
Se capisco bene, pensi ad una rifondazione e comunista.
Sì. Per costruire una sinistra efficace fuori dal recinto socialdemocratico è necessario che sia ben vivo il progetto politico del Prc: che è, appunto, quello di tenere insieme la rifondazione, l'innovazione e il comunismo. La proposta della Costituente della sinistra e la sua gemella, cioè la Costituente comunista, distruggono il progetto di rifondazione proprio perché separano i due termini: l'innovazione senza comunismo da un lato e il comunismo senza rifondazione dall'altro. Sarebbe un tragico errore.
In ogni caso sarà il congresso a decidere…
Continuo a pensare che fosse meglio discutere per tesi anziché documenti contrapposti: quest'ultima modalità contribuisce a destabilizzare il partito e molti compagni e compagne nei circoli sono giustamente arrabbiati perché non vogliono partecipare ad una conta. Tanto più se si avanza la proposta di un segretario, perché si dà avvio ad un processo plebiscitario che è il contrario di cosa ci serve. La nostra sconfitta è politica, non un problema di leadership: c'era Bertinotti sia quando si prendeva l'8% sia quando si è preso il 3%; in Puglia Nichi ha vinto, ma la Sinistra arcobaleno ha preso il 2,9%; e la Lega Nord vince.
Ma tu, ti candidi o no?
No, non voglio che il congresso si trasformi in una sorta di primarie. Sarebbe di nuovo rovesciare i problemi. Basta vedere il caso di Veltroni: dopo le primarie del Pd sembrava irresistibile, ma non ha spostato una virgola. L'unica chance che abbiamo è ripartire dal progetto politico: da lì dovranno uscire i nostri gruppi dirigenti e non il contrario. Il Prc deve restare, per l'oggi e per il domani; è necessario ma non sufficiente, per questo deve essere il motore dell'aggregazione della sinistra dal basso, costruendo l'opposizione per rimettere a tema l'alternativa. Anche per questo lancio un appello al tesseramento a Rifondazione.