Il congresso in corso è il più duro della storia del Partito della rifondazione comunista. Esige da parte di tutti noi un forte scatto d’orgoglio e partecipazione cosciente e attiva. La difficoltà deriva innanzitutto dalla sconfitta maturata negli ultimi tre anni e rivelatasi in modo dirompente nelle elezioni del 13-14 aprile, ma non si riduce ad essa. Il carattere potenzialmente distruttivo di questa situazione dipende dalla natura di quella sconfitta. Può accadere, è accaduto tante volte, che un partito comunista arretri, che venga sconfitto da un rapporto di forza sfavorevole o anche da errori specifici nell’impostazione di una battaglia. Si perde terreno, consenso, l’organizzazione ne viene indebolita, ma rimane la ragione politica e di classe della battaglia combattuta, sulla quale è possibile correggere gli errori e riprendere il cammino. La nostra storia recente, tuttavia, è diversa. Il Prc non solo è stato sconfitto, ma ha disertato il terreno dello scontro: questa è l’amara verità dei tre anni nei quali siamo stati parte dell’Unione e poi del governo Prodi. Le date del 9 giugno e del 23 luglio 2007 ce lo ricordano con particolare durezza. Il 9 giugno vide la rottura fra il partito e il movimento contro la guerra; il 23 luglio fu la rottura con milioni di lavoratori che avevano votato l’Unione, e noi con essa, nella speranza di porre un argine al precipitare della loro condizione di lavoro e di vita. Il Prc, imprigionato nella gabbia governativa, fu assente da quello scontro, impegnato a giustificare l’ingiustificabile. Prima e dopo quelle due date decisive, una serie interminabile di bocconi amari, promesse smentite, acrobazie verbali, autodifesa ad oltranza dei gruppi dirigenti. Per questo la sconfitta elettorale ha lasciato questa scia di smarrimento, perdita di punti di riferimento, e ci consegna la necessità di una vera e propria rivoluzione interna al nostro partito: politica, di gruppi dirigenti, di programmi, obiettivi, pratiche. Il primo compito è quindi quello di appropriarci di questo congresso, di farne il primo passo di questa svolta. Sono tanti, troppi quelli che suonano le campane a morto per Rifondazione comunista e guardano al congresso con la logica speculativa di chi punta non a ricostruire, ma a raccogliere i cocci in favore di altri progetti “costituenti” più o meno immaginari. Il nostro appello è innanzitutto a tutti i compagni che respingono questa logica distruttiva. FalceMartello si identifica pienamente nel percorso della mozione 4, della “svolta operaia”. Nelle pagine di questo numero abbiamo tentato di trattare alcuni dei temi decisivi di questo congresso. Qui vogliamo invece sottolineare alcuni punti riguardanti il modo come pensiamo sia giusto affrontare il dibattito. Ai compagni che partecipano ai congressi nei circoli ci permettiamo di segnalare alcuni punti importanti.
1) Respingiamo logiche di “voto utile” e di esproprio della sovranità degli iscritti e delle iscritte. Mettiamo al centro una valutazione scrupolosa degli argomenti politici proposti.
2) Le mozioni sono rappresentate da compagni in carne e ossa: si valuti quanto scritto nei testi in relazione al ruolo che le diverse aree hanno avuto nella vita del partito in questi anni. Si valuti la coerenza tra quanto si dice, quanto si scrive e i comportamenti concreti.3) Respingiamo il sensazionalismo, i ricatti emotivi, il congresso svolto nei corridoi, nelle accuse e controaccuse che circolano sulla stampa o su tanti siti internet dove anziché parlare della condizione sociale del nostro paese o di temi politici e organizzativi seri per il rilancio del partito ci si diletta appunto nel “ping-pong” congressuale.
Gran parte del gruppo dirigente è da questo punto di vista irrecuperabile, e non è certo a loro che rivolgiamo questo invito. L’incapacità della maggior parte della direzione uscente di condurre un dibattito politico dignitoso non è l’ultimo dei motivi per cui ci battiamo per un ricambio profondo, non solo della linea politica, ma anche di chi dirige il partito. Per cominciare, proporremo non solo il criterio del salario operaio a tutti i livelli di direzione e istituzionali, ma anche una presenza obbligatoria di lavoratori dipendenti, particolarmente di lavoratori in produzione, nei futuri organismi dirigenti. Partiamo da una presenza ridotta negli organismi dirigenti uscenti, ma questo non significa che in questo congresso non abbiamo ambizioni, al contrario. La nostra volontà non è solo quella di allargare il consenso verso le nostre posizioni, cosa che siamo certi di poter fare, ma è anche di abbattere definitivamente quegli steccati che hanno fatto sì che negli anni scorsi tanti compagni e compagne capaci non potessero avere alcun ruolo nella costruzione del partito e del suo intervento di massa. Questo non ci ha fermato e chi ci conosce lo sa. In questi anni nessuna area del Prc, comprese quelle che disponevano di consensi e mezzi ben superiori ai nostri, ha sviluppato un intervento nella società neppure lontanamente paragonabile a quanto abbiamo fatto verso le fabbriche, le scuole, le università, ovunque potessimo aprirci una strada per interloquire con una classe operaia completamente abbandonata dalla sinistra e dai dirigenti sindacali. Questo lavoro prezioso fa parte della nostra battaglia congressuale e lotteremo affinché a partire da questo congresso possa entrare in una relazione virtuosa non solo con quei compagni che sosterranno la nostra mozione, ma con tutti coloro che si rimboccheranno le maniche nel duro lavoro di ricostruzione e rigenerazione necessario a far vivere il Prc. È questa anche la nostra risposta a chi, in particolare i compagni del primo documento, ha posto fin dal principio la questione della cosiddetta “gestione unitaria” del partito dopo il congresso. Ci pare come minimo precipitoso parlare prima che un solo circolo e un solo iscritto abbia potuto pronunciarsi nei congressi di base. È positivo che si critichi, sia pure con ritardo, la logica che allo scorso congresso portò all’affermarsi di una concezione maggioritaria, del “chi vince piglia tutto”. Detto questo, ci sono molte domande aperte. Unità di chi, con chi e per fare cosa? Su quali basi politiche? Su quali proposte organizzative? Unità di un gruppo dirigente sconfitto e frantumato che si autoassolve prima ancora che il congresso sia cominciato? O autentica unità nel lavoro di costruzione, radicamento, nell’elaborazione di piattaforme per l’intervento, in una ricerca teorica scrupolosa e aperta al contributo di tutti i compagni? Siamo fermamente convinti che il rafforzamento delle nostre posizioni può contribuire significativamente a dare a queste domande una risposta rigorosa, risposta che spetta innanzitutto al congresso stesso e ai compagni che vi parteciperanno.
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