Per un anno e mezzo, insieme alle altre forze della sinistra, Rifondazione si è battuta perché il governo rispettasse gli impegni assunti dall'Unione in campagna elettorale. Un contributo che, a differenza di altri, è stato leale e costruttivo. Ma le ultime decisioni del governo costringono a guardare in faccia la realtà
I nodi stanno venendo al pettine. Per un anno e mezzo, insieme alle altre forze della sinistra, Rifondazione comunista si è battuta perché il governo rispettasse gli impegni assunti dall'Unione in campagna elettorale. A differenza di alcune forze moderate che hanno speso le proprie rendite di posizione ricattando la maggioranza e minacciando rappresaglie, abbiamo dato un contributo leale e costruttivo. Ma le ultime decisioni del governo ci costringono a guardare in faccia la realtà.
Limitiamoci al Protocollo sul welfare e sul lavoro (analoghe considerazioni potremmo svolgere sul "pacchetto sicurezza" e sulla partecipazione alla guerra in Afghanistan). Il governo ha cominciato con una prima grave forzatura istituzionale. Invece di chiedere al Parlamento una delega, è partito dalla trattativa con le parti sociali, per poi pretendere che il legislatore si limitasse a ratificarlo. Persino il capogruppo del Pd, l'on. Soro, ha rimarcato la gravità di questa violazione. Non è una questione di pura forma, perché la forma - trattandosi di rapporti tra poteri costituzionali - è sostanza. E perché questo grave vulnus ai principi costituzionali ha conferito un enorme potere di interferenza alla Confindustria, che infatti ha giocato pesantemente in questa partita a suon di minacce, veti e imposizioni. Sconcerta e inquieta che i sindacati - a cominciare dalla Cgil - non se ne avvedano, e che non capiscano che il loro coinvolgimento nel processo di formazione delle decisioni legislative in realtà li disarma, impedendo loro di agire in modo autonomo come attori nel conflitto. D'altra parte non c'è da stupirsene. L'instaurarsi di un modello neo-corporativo è l'approdo naturale della concertazione.
A questa prima grave decisione ne sono seguite altre. Quando il disegno di legge che recepiva l'accordo del 23 luglio è arrivato alla Commissione Lavoro della Camera, la maggioranza ha lavorato seriamente. Dando forma a un testo non certo privo di limiti anche seri, ma in punti significativi più avanzato di quello elaborato dal governo. La Commissione non ha accolto tutte le richieste rilevanti della sinistra. Sulle pensioni non ha accettato di introdurre un criterio di elasticità nel sistema delle quote, che eliminasse la soglia anagrafica minima (oltre i 57 anni) ai fini della somma tra età e anni di lavoro. In tema di lavoro, ha mantenuto la decontribuzione sullo straordinario (l'ennesimo regalo che questo governo fa alle imprese) e non ha accolto la richiesta di riconoscere ai lavoratori il diritto di precedenza anche ai fini di assunzioni a tempo determinato (il che rischia di trasformare la soglia dei 36 mesi in un boomerang, poiché le imprese saranno tentate di licenziare i lavoratori precari vicini a quella soglia pur di non doverli poi stabilizzare). Non solo. Compiendo una grave forzatura, le forze moderate dell'Unione hanno addirittura votato insieme alla destra per reintrodurre parzialmente il lavoro a chiamata. E tuttavia, a fronte di queste scelte negative (sulle quali si sarebbe potuto tornare nella discussione in Aula), la Commissione ha apportato anche alcuni rilevanti miglioramenti al testo del governo. Ai fini della definizione della platea dei lavori usuranti ha cancellato il riferimento agli 80 turni di notte. E, sui contratti a termine, ha imposto il riconoscimento dell'intera carriera lavorativa e stabilito che la proroga non può in nessun caso superare gli 8 mesi. A questo punto, com'è noto, il governo è tornato in scena, entrando a gamba tesa sul testo della Commissione.
Mostrando di non attribuire valore né al lavoro parlamentare, né alle domande emerse dalla grande manifestazione del 20 ottobre contro la precarietà (quasi che quel milione di donne, di giovani, di lavoratori non fossero parte del suo elettorato), il governo ha posto la fiducia. E non solo ha cancellato il frutto del faticoso lavoro della Commissione. Ha fatto di peggio. Inaugurando una prassi anticostituzionale, si è permesso di fare un po' di shopping tra gli emendamenti accolti, creando un nuovo testo che ne esclude molti (tutti quelli effettivamente migliorativi) e ne accoglie alcuni (tra i quali, guarda caso, la parziale reintroduzione del job on call).
Questo è avvenuto. Crediamo che tutto ciò si commenti da sé, anche alla luce del contesto che richiamavamo all'inizio. Un contesto che - per restare in argomento - annovera anche la violazione di un altro solenne impegno programmatico: la restituzione del fiscal drag, che, stando al recente rapporto dell'Ires, è costato ai lavoratori una perdita di potere d'acquisto di quasi 700 euro nei soli ultimi cinque anni. Siamo dunque in una situazione che richiama ciascuno alle proprie responsabilità.
Noi - Rifondazione comunista - ci sentiamo responsabili in primo luogo nei confronti di chi lavora e fa fatica ad arrivare alla fine del mese, in questo Paese sempre più ingiusto e ineguale. Nei confronti di chi ha un impiego precario, e non può difendere i propri diritti fondamentali poiché è minacciato nella sua stessa sopravvivenza. Nei confronti delle donne, che sono le più colpite dalla precarietà. Nei confronti di chi non riesce nemmeno ad andare in pensione o, conquistando questo traguardo, percepisce un'elemosina che lo costringe alla povertà o al lavoro nero. E il governo? Questo governo che ha ottenuto i voti dei lavoratori italiani promettendo di cancellare la precarietà e le leggi antisociali della destra, nei confronti di chi si sente responsabile?
A giudicare da quanto sta avvenendo in questi giorni, guarda altrove e per questo non merita più la nostra fiducia. Ma quegli impegni, ad ogni modo, restano e pesano. E non è difficile prevedere che, di questo passo, si ritorceranno pesantemente contro chi li ha assunti con disinvoltura, per poi rapidamente accantonarli.
Limitiamoci al Protocollo sul welfare e sul lavoro (analoghe considerazioni potremmo svolgere sul "pacchetto sicurezza" e sulla partecipazione alla guerra in Afghanistan). Il governo ha cominciato con una prima grave forzatura istituzionale. Invece di chiedere al Parlamento una delega, è partito dalla trattativa con le parti sociali, per poi pretendere che il legislatore si limitasse a ratificarlo. Persino il capogruppo del Pd, l'on. Soro, ha rimarcato la gravità di questa violazione. Non è una questione di pura forma, perché la forma - trattandosi di rapporti tra poteri costituzionali - è sostanza. E perché questo grave vulnus ai principi costituzionali ha conferito un enorme potere di interferenza alla Confindustria, che infatti ha giocato pesantemente in questa partita a suon di minacce, veti e imposizioni. Sconcerta e inquieta che i sindacati - a cominciare dalla Cgil - non se ne avvedano, e che non capiscano che il loro coinvolgimento nel processo di formazione delle decisioni legislative in realtà li disarma, impedendo loro di agire in modo autonomo come attori nel conflitto. D'altra parte non c'è da stupirsene. L'instaurarsi di un modello neo-corporativo è l'approdo naturale della concertazione.
A questa prima grave decisione ne sono seguite altre. Quando il disegno di legge che recepiva l'accordo del 23 luglio è arrivato alla Commissione Lavoro della Camera, la maggioranza ha lavorato seriamente. Dando forma a un testo non certo privo di limiti anche seri, ma in punti significativi più avanzato di quello elaborato dal governo. La Commissione non ha accolto tutte le richieste rilevanti della sinistra. Sulle pensioni non ha accettato di introdurre un criterio di elasticità nel sistema delle quote, che eliminasse la soglia anagrafica minima (oltre i 57 anni) ai fini della somma tra età e anni di lavoro. In tema di lavoro, ha mantenuto la decontribuzione sullo straordinario (l'ennesimo regalo che questo governo fa alle imprese) e non ha accolto la richiesta di riconoscere ai lavoratori il diritto di precedenza anche ai fini di assunzioni a tempo determinato (il che rischia di trasformare la soglia dei 36 mesi in un boomerang, poiché le imprese saranno tentate di licenziare i lavoratori precari vicini a quella soglia pur di non doverli poi stabilizzare). Non solo. Compiendo una grave forzatura, le forze moderate dell'Unione hanno addirittura votato insieme alla destra per reintrodurre parzialmente il lavoro a chiamata. E tuttavia, a fronte di queste scelte negative (sulle quali si sarebbe potuto tornare nella discussione in Aula), la Commissione ha apportato anche alcuni rilevanti miglioramenti al testo del governo. Ai fini della definizione della platea dei lavori usuranti ha cancellato il riferimento agli 80 turni di notte. E, sui contratti a termine, ha imposto il riconoscimento dell'intera carriera lavorativa e stabilito che la proroga non può in nessun caso superare gli 8 mesi. A questo punto, com'è noto, il governo è tornato in scena, entrando a gamba tesa sul testo della Commissione.
Mostrando di non attribuire valore né al lavoro parlamentare, né alle domande emerse dalla grande manifestazione del 20 ottobre contro la precarietà (quasi che quel milione di donne, di giovani, di lavoratori non fossero parte del suo elettorato), il governo ha posto la fiducia. E non solo ha cancellato il frutto del faticoso lavoro della Commissione. Ha fatto di peggio. Inaugurando una prassi anticostituzionale, si è permesso di fare un po' di shopping tra gli emendamenti accolti, creando un nuovo testo che ne esclude molti (tutti quelli effettivamente migliorativi) e ne accoglie alcuni (tra i quali, guarda caso, la parziale reintroduzione del job on call).
Questo è avvenuto. Crediamo che tutto ciò si commenti da sé, anche alla luce del contesto che richiamavamo all'inizio. Un contesto che - per restare in argomento - annovera anche la violazione di un altro solenne impegno programmatico: la restituzione del fiscal drag, che, stando al recente rapporto dell'Ires, è costato ai lavoratori una perdita di potere d'acquisto di quasi 700 euro nei soli ultimi cinque anni. Siamo dunque in una situazione che richiama ciascuno alle proprie responsabilità.
Noi - Rifondazione comunista - ci sentiamo responsabili in primo luogo nei confronti di chi lavora e fa fatica ad arrivare alla fine del mese, in questo Paese sempre più ingiusto e ineguale. Nei confronti di chi ha un impiego precario, e non può difendere i propri diritti fondamentali poiché è minacciato nella sua stessa sopravvivenza. Nei confronti delle donne, che sono le più colpite dalla precarietà. Nei confronti di chi non riesce nemmeno ad andare in pensione o, conquistando questo traguardo, percepisce un'elemosina che lo costringe alla povertà o al lavoro nero. E il governo? Questo governo che ha ottenuto i voti dei lavoratori italiani promettendo di cancellare la precarietà e le leggi antisociali della destra, nei confronti di chi si sente responsabile?
A giudicare da quanto sta avvenendo in questi giorni, guarda altrove e per questo non merita più la nostra fiducia. Ma quegli impegni, ad ogni modo, restano e pesano. E non è difficile prevedere che, di questo passo, si ritorceranno pesantemente contro chi li ha assunti con disinvoltura, per poi rapidamente accantonarli.
3 commenti:
Prima di tutto vorrei presentarmi sono di Miglionico e sono: V per vendetta. Vorrei congratularmi con l'autore del blog, perchè è venuto bene.Per quanto riguarda il tema trattato, vorrei dire che sono d'accordo sul comportamento tenuto da rifondazione nei confronti del governo, però la troppa vicinanza a questi partiti ( vedi Pd, Vedi Margherita), ormai logori e inquinati, dalla politica dell'"ognuno veda i propri interessi"e della politica della "forchetta e del coltello", finirà di inquinare anche i nostri principi di sana libertà e di difesa della classi più deboli ormai dimenticate da questa politica( vedi politica berlusconiana, vedi politica del Pd in prodi)
Grazie "V per Vendetta" concordo su tutto quello che hai detto!
comunque vorrei dire le critiche caro nostradamus, lo può fare solo gente appartenente a schieramenti politici, dello stesso governo Prodi, Perchè accettare le critiche da persone che hanno votato, governi precedenti e come darsi con la zappa sui piedi,
perchè grazie a Berlusconi, che con le sue leggi leggendarie ha aumentato il precariato in modo esponenziale, anche perchè come sai caro nostradamus il precariato c'è sempre stato e ci sarà.
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