Quando un Partito, o una coalizione di Partiti, chiede il voto dei cittadini per governare, presenta un programma. Così fece anche Lenin, in maniera estremamente semplice: non abbiamo il potere, ma se l'avremo, primo: basta con la guerra, tutti a casa; secondo: tutto il potere ai consigli di fabbrica, terzo: la terra a chi la lavora. Ma questo è solo un esempio.
Nel 2006, l'Unione ha presentato un programma esageratamente lungo e perciò ambiguamente interpretabile, ben 262 pagine. In particolare, vi si diceva che "Per affrontare i problemi che derivano dall'assetto unipolare del mondo dobbiamo puntare ad una difesa europea autonoma, pur se sempre in rapporto con l'Alleanza Atlantica, che sta profondamente cambiando". Già questa impostazione non ci trova concordi, poiché una difesa europea autonoma deve costituire un'alternativa all'Alleanza Atlantica esistente. E' un falso storico, infatti, che la NATO sia stata costituita per proteggere l'Europa occidentale dal blocco sovietico. E' vero il contrario: il Patto di Varsavia fu costituito nel 1955 in risposta alla costituzione della NATO nel 1949. Come che sia, il Patto di Varsavia non esiste più dal 1991, come non esistono più tre Paesi che ne facevano parte (Cecoslovacchia, RDT ed URSS), ciò nonostante la NATO continua a dettare legge all'interno dei Paesi che la compongono (tra cui anche alcuni Paesi che, a vario titolo, erano membri del Patto di Varsavia, quali la Bulgaria, la Repubblica Ceca, l'Estonia, la Lettonia, la Lituania, la Polonia, la Romania, la Slovacchia e l'Ungheria, oltre alla Slovenia, che faceva parte della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia), e nessuno pensa di scioglierla, pur se essa ha esaurito i compiti per i quali era stata costituita.
Nel 2007, i Partiti che compongono l'Unione hanno siglato un programma di 12 punti, che gli elettori non hanno votato, e che in questa sua parte differisce nettamente dal programma delle 262 pagine: "Sostegno costante alle iniziative di politica estera e di difesa stabilite in ambito Onu ed ai nostri impegni internazionali, derivanti dall'appartenenza all'Unione Europea e all'Alleanza Atlantica, con riferimento anche al nostro attuale impegno nella missione in Afghanistan".Zapatero in Spagna a suo tempo disse che, qualora fosse stato eletto, per prima cosa avrebbe fatto tornare a casa le truppe spagnole dall'Iraq. Detto, fatto. Nessuno pensò di guadagnarci, ad accusarlo di non essere affidabile in quanto non ha rispettato gli accordi del governo precedente. Questo governo italiano, invece, ci ha messo otto mesi, e per compensare ha inviato le truppe in Afghanistan. Di più: ha deciso di rispettare gli accordi di Berlusconi circa l'ampliamento della presenza militare statunitense a Vicenza.
Siamo per l'uscita unilaterale dell'Italia dalla NATO, che non riveste più alcun carattere difensivo, vero o presunto tale, non vogliamo più macchiarci di crimini orrendi contro l'umanità come ad esempio l'aggressione armata al popolo amico jugoslavo, che anzi dovremmo risarcire. Siamo per la liberazione dei territori italiani occupati dalle servitù militari statunitensi, da Vicenza ad Aviano, dalla Sardegna alla Puglia.
Rifuggiamo categoricamente la logica per la quale "l'amico del mio nemico è mio nemico". Sempre più spesso negli organi di informazione di sinistra si leggono attacchi ingiustificati contro Paesi comunisti o ex comunisti, per un malcelato complesso di inferiorità, un bisogno di dimostrare di essere più antisovietici dei postsovietici, più anticomunisti degli ex comunisti, da Cuba alla Russia, passando per la Romania e la Cina. E' il caso di ricordare che la prefazione alla traduzione italiana dell'autobiografia di Ceauşescu fu fatta da Andreotti, insospettabile di alcuna simpatia. E' quel che distingue uno statista, nel bene e nel male.
Per quanto riguarda l'Europa orientale, abbiamo ben presente che nel 2006 l'Italia è stata il secondo importatore in assoluto nel mondo dalla Russia, con 18 miliardi di € (dopo l'Olanda, con 26 miliardi), ed il settimo esportatore in Russia, con 4 miliardi di € (dopo la Germania, la Cina, il Giappone, gli USA, la Corea del Sud e la Francia). Gli imprenditori italiani in genere non sono particolarmente propensi a votare a sinistra, con le dovute eccezioni. Lo stesso vale per l'Unione Europea nel suo complesso, che è al primo posto in assoluto: essa rappresenta i due terzi delle importazioni dalla Russia (170 miliardi) e più della metà delle esportazioni in Russia (60 miliardi). In altre parole, bisogna convivere, e convivere bene, senza mettersi in cattedra.
Una analisi a parte merita la questione degli italiani all'estero e del loro diritto di esercitare il voto. C'è chi, anche e soprattutto a sinistra, ritiene che la circoscrizione estera sia sbagliata perché metterebbe in una riserva indiana gli eletti al di fuori dei confini nazionali, che comunque non sarebbero partecipi alla dialettica politica del Paese. E' un discorso inadeguato. Poteva essere vero ancora qualche decennio fa, quando persino i giornali italiani arrivavano a singhiozzo e bisognava sintonizzarsi di notte sulle onde corte con le radioline a transistor per ascoltare il "Notturno italiano" della RAI. Oggi, chiunque voglia, può leggere i giornali via internet. Certo, molti "non masticano" di telematica, ma in genere sono proprio quelli della prima generazione, mentre quelli di seconda e terza, per la loro età, sono proprio i navigatori più progrediti. Ma soprattutto, la stragrande maggioranza degli italiani all'estero hanno la parabola, vedono non solo i sette canali televisivi nazionali, ma anche le televisioni locali della loro regione di provenienza. E spesso ne sanno più di chi vive in Italia.
Resta il problema se sia lecito che essi possano cambiare i destini italiani da fuori. La storia ci insegna che i votanti all'estero sono meno del 3% dei votanti complessivi, e gli aventi diritto all'estero sono poco più del 5% degli aventi diritto nel loro complesso. Non è quindi così grave.
E se votassero tutti? E qui dobbiamo richiamarci al PCI. Per trent'anni, dal dopoguerra alla costituzione del Parlamento Europeo, i comunisti volevano dare la possibilità agli emigranti italiani di votare rimanendo nel Paese di residenza, e i democristiani invece non l'hanno mai consentito. La ragione è semplice: gli emigranti votavano a sinistra, tutti noi ricordiamo i treni speciali di emigranti che tornavano per votare con appesi fuori dai finestrini i manifesti "vota comunista" con la falce e il martello. Tanta acqua è passata sotto i ponti, gli emigranti ormai votano un po' come gli italiani residenti in Italia, ed ecco che persino tra i comunisti riecheggiano i toni della vecchia DC.
Riteniamo che sarebbe giustificato se gli italiani residenti all'estero potessero votare candidati residenti in Italia. A condizione di poter votare anche candidati residenti all'estero. E' invece da respingere fermamente la posizione per la quale non si possa affidare a degli eletti all'estero una circoscrizione al di fuori dello Stato italiano, e per la quale il voto marginale di questa circoscrizione possa influire sulla fiducia ad un governo: significherebbe sancire uno status di parlamentari di "serie B", in tal caso indubbiamente inutili.Gli italiani residenti all'estero vi risiedono perché il loro Paese non è stato in grado di assicurargli la sopravvivenza ed una vita dignitosa. E' dovuta loro la speranza di poter eleggere un governo che muti le condizioni per le quali essi sono emigrati, e poter quindi un giorno tornare a casa.
Nel 2006, l'Unione ha presentato un programma esageratamente lungo e perciò ambiguamente interpretabile, ben 262 pagine. In particolare, vi si diceva che "Per affrontare i problemi che derivano dall'assetto unipolare del mondo dobbiamo puntare ad una difesa europea autonoma, pur se sempre in rapporto con l'Alleanza Atlantica, che sta profondamente cambiando". Già questa impostazione non ci trova concordi, poiché una difesa europea autonoma deve costituire un'alternativa all'Alleanza Atlantica esistente. E' un falso storico, infatti, che la NATO sia stata costituita per proteggere l'Europa occidentale dal blocco sovietico. E' vero il contrario: il Patto di Varsavia fu costituito nel 1955 in risposta alla costituzione della NATO nel 1949. Come che sia, il Patto di Varsavia non esiste più dal 1991, come non esistono più tre Paesi che ne facevano parte (Cecoslovacchia, RDT ed URSS), ciò nonostante la NATO continua a dettare legge all'interno dei Paesi che la compongono (tra cui anche alcuni Paesi che, a vario titolo, erano membri del Patto di Varsavia, quali la Bulgaria, la Repubblica Ceca, l'Estonia, la Lettonia, la Lituania, la Polonia, la Romania, la Slovacchia e l'Ungheria, oltre alla Slovenia, che faceva parte della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia), e nessuno pensa di scioglierla, pur se essa ha esaurito i compiti per i quali era stata costituita.
Nel 2007, i Partiti che compongono l'Unione hanno siglato un programma di 12 punti, che gli elettori non hanno votato, e che in questa sua parte differisce nettamente dal programma delle 262 pagine: "Sostegno costante alle iniziative di politica estera e di difesa stabilite in ambito Onu ed ai nostri impegni internazionali, derivanti dall'appartenenza all'Unione Europea e all'Alleanza Atlantica, con riferimento anche al nostro attuale impegno nella missione in Afghanistan".Zapatero in Spagna a suo tempo disse che, qualora fosse stato eletto, per prima cosa avrebbe fatto tornare a casa le truppe spagnole dall'Iraq. Detto, fatto. Nessuno pensò di guadagnarci, ad accusarlo di non essere affidabile in quanto non ha rispettato gli accordi del governo precedente. Questo governo italiano, invece, ci ha messo otto mesi, e per compensare ha inviato le truppe in Afghanistan. Di più: ha deciso di rispettare gli accordi di Berlusconi circa l'ampliamento della presenza militare statunitense a Vicenza.
Siamo per l'uscita unilaterale dell'Italia dalla NATO, che non riveste più alcun carattere difensivo, vero o presunto tale, non vogliamo più macchiarci di crimini orrendi contro l'umanità come ad esempio l'aggressione armata al popolo amico jugoslavo, che anzi dovremmo risarcire. Siamo per la liberazione dei territori italiani occupati dalle servitù militari statunitensi, da Vicenza ad Aviano, dalla Sardegna alla Puglia.
Rifuggiamo categoricamente la logica per la quale "l'amico del mio nemico è mio nemico". Sempre più spesso negli organi di informazione di sinistra si leggono attacchi ingiustificati contro Paesi comunisti o ex comunisti, per un malcelato complesso di inferiorità, un bisogno di dimostrare di essere più antisovietici dei postsovietici, più anticomunisti degli ex comunisti, da Cuba alla Russia, passando per la Romania e la Cina. E' il caso di ricordare che la prefazione alla traduzione italiana dell'autobiografia di Ceauşescu fu fatta da Andreotti, insospettabile di alcuna simpatia. E' quel che distingue uno statista, nel bene e nel male.
Per quanto riguarda l'Europa orientale, abbiamo ben presente che nel 2006 l'Italia è stata il secondo importatore in assoluto nel mondo dalla Russia, con 18 miliardi di € (dopo l'Olanda, con 26 miliardi), ed il settimo esportatore in Russia, con 4 miliardi di € (dopo la Germania, la Cina, il Giappone, gli USA, la Corea del Sud e la Francia). Gli imprenditori italiani in genere non sono particolarmente propensi a votare a sinistra, con le dovute eccezioni. Lo stesso vale per l'Unione Europea nel suo complesso, che è al primo posto in assoluto: essa rappresenta i due terzi delle importazioni dalla Russia (170 miliardi) e più della metà delle esportazioni in Russia (60 miliardi). In altre parole, bisogna convivere, e convivere bene, senza mettersi in cattedra.
Una analisi a parte merita la questione degli italiani all'estero e del loro diritto di esercitare il voto. C'è chi, anche e soprattutto a sinistra, ritiene che la circoscrizione estera sia sbagliata perché metterebbe in una riserva indiana gli eletti al di fuori dei confini nazionali, che comunque non sarebbero partecipi alla dialettica politica del Paese. E' un discorso inadeguato. Poteva essere vero ancora qualche decennio fa, quando persino i giornali italiani arrivavano a singhiozzo e bisognava sintonizzarsi di notte sulle onde corte con le radioline a transistor per ascoltare il "Notturno italiano" della RAI. Oggi, chiunque voglia, può leggere i giornali via internet. Certo, molti "non masticano" di telematica, ma in genere sono proprio quelli della prima generazione, mentre quelli di seconda e terza, per la loro età, sono proprio i navigatori più progrediti. Ma soprattutto, la stragrande maggioranza degli italiani all'estero hanno la parabola, vedono non solo i sette canali televisivi nazionali, ma anche le televisioni locali della loro regione di provenienza. E spesso ne sanno più di chi vive in Italia.
Resta il problema se sia lecito che essi possano cambiare i destini italiani da fuori. La storia ci insegna che i votanti all'estero sono meno del 3% dei votanti complessivi, e gli aventi diritto all'estero sono poco più del 5% degli aventi diritto nel loro complesso. Non è quindi così grave.
E se votassero tutti? E qui dobbiamo richiamarci al PCI. Per trent'anni, dal dopoguerra alla costituzione del Parlamento Europeo, i comunisti volevano dare la possibilità agli emigranti italiani di votare rimanendo nel Paese di residenza, e i democristiani invece non l'hanno mai consentito. La ragione è semplice: gli emigranti votavano a sinistra, tutti noi ricordiamo i treni speciali di emigranti che tornavano per votare con appesi fuori dai finestrini i manifesti "vota comunista" con la falce e il martello. Tanta acqua è passata sotto i ponti, gli emigranti ormai votano un po' come gli italiani residenti in Italia, ed ecco che persino tra i comunisti riecheggiano i toni della vecchia DC.
Riteniamo che sarebbe giustificato se gli italiani residenti all'estero potessero votare candidati residenti in Italia. A condizione di poter votare anche candidati residenti all'estero. E' invece da respingere fermamente la posizione per la quale non si possa affidare a degli eletti all'estero una circoscrizione al di fuori dello Stato italiano, e per la quale il voto marginale di questa circoscrizione possa influire sulla fiducia ad un governo: significherebbe sancire uno status di parlamentari di "serie B", in tal caso indubbiamente inutili.Gli italiani residenti all'estero vi risiedono perché il loro Paese non è stato in grado di assicurargli la sopravvivenza ed una vita dignitosa. E' dovuta loro la speranza di poter eleggere un governo che muti le condizioni per le quali essi sono emigrati, e poter quindi un giorno tornare a casa.
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1 commento:
Io penso una cosa che l'Italia ormai sia in declino in tutta la sua politica e con essa tutto il nostro paese . Perchè?
Le risposte a questa domanda sono multiple.
_Prima di tutto la nostra dipendenza economica dagli Stati Uniti(ultimi dittatori del XX secolo), che con il piano marshall ha mascherato i suoi veri intenti(colonizzare il mondo economicamente rendendoci succubi del loro potere).Adesso con la nascita delle nuove super potenze (vedi India e cina), gli stati uniti non sonmo più i trascinatori dell'economia mondiale e quindi le nazioni affiliate a lei sono in crisi economica, perchè come si sda dalle informazioni trapelate dalla casa bianca, l'economia americana rischia di rivivere una nuova crisi di Wall Street, ma adesso non ci sarà il Roosvelt di turno a parare tutti il culo.
_Secondo ,il nostro comportamento xenofobo non giova alla nostra politica diripresa, perchè noi abbiamo bisogno degli immigrati, infatti senza di loro a quest'ora eravamo sarebbe scoppiata una crisi economica, di portata gigantesca per il nostro paese, quale l'italia.
_Terzo punto,la politica italiana è marcia serve gente nuova, perchè ormai chi ci governa e ci rappresenta si è imborghesito e pensa agli affari suoi, non curante dei problemi che affliggono la nostra società. Gli arresti di Totò Riina, Bernardo Provenzano, ecc.. Non era niente, perchè il marcio e la mafia è il nostro stesso stato, che si nasconde dietro la maschera di partito votato alla libertàe aal'uguaglianza, ma che invece istiga la guerra civile con leggi oligarchiche e predilige il clientelismo,ditruggendo ogni sogno della nuova società crescente .
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