1074 VOLTE GRAZIE MIGLIONICO

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sabato 14 giugno 2008

La strage di Mineo: basta lacrime di coccodrillo!

Ennesima strage sul lavoro consumatasi a Mineo, cittadina in provincia di Catania, in una giornata tremenda che ha visto altri quattro morti nel resto d’Italia. Due degli operai, dipendenti di una ditta specializzata del Ragusano, probabilmente si sono sentiti male, durante i lavori di manutenzione del depuratore comunale ed allora gli altri quattro sono scesi ad aiutarli. I gas velenosi non hanno lasciato loro scampo. È accertato che tutti e sei non avevano alcuna protezione, nemmeno delle banali mascherine per filtrare l’aria che respiravano. Questa sembra essere la regola nell’isola, almeno ascoltando le dichiarazioni di Pasquale Chimpanaro, della Cgil di Caltagione secondo cui “in Sicilia non esiste una struttura al 100% sicura”. La tragedia ha assunto proporzioni così gravi a causa del gesto di eroismo dei quattro dipendenti del Comune di Mineo, che hanno perso la vita nel vano tentativo salvare quella dei loro compagni. Chiediamo al ministro Brunetta ed ai mass media, impegnati in questi giorni in una campagna di calunnie verso i dipendenti del settore pubblico: anche i lavoratori di Mineo erano dei “fannulloni”? Il comune di Mineo era chiaramente sotto organico. Risulta infatti che uno dei dipendenti comunali periti nell’incidente di ieri fosse proprio un responsabile della sicurezza della struttura, rientrato dalle ferie appositamente per seguire l’operazione di manutenzione dell’impianto di depurazione. Questa è la realtà di tanti luoghi di lavoro, pubblici e privati, dove straordinari e carenza d’organico sono all’ordine del giorno. Eppure Brunetta vuole usare ancora la scure nei confronti del servizio pubblico, tagliando le risorse per l’Ispettorato del lavoro, l’Inail, l’Inps e i Vigili del Fuoco! Oggi tutti piangeranno i morti di Mineo e si sprecheranno le parole sulla necessità di misure di emergenza. Il ministro del Welfare, con delega al lavoro, Sacconi, mentre invoca un “piano straordinario” per la sicurezza, svela tutta la sua ipocrisia andando all’attacco del Testo Unico sulla sicurezza approvato dal governo Prodi qualche mese fa. Il provvedimento del governo Prodi aveva molti limiti, ma è un boccone troppo indigesto per i padroni, che vogliono avere mano libera totale. Spiega il ministro in un’ intervista sul Corriere della sera di oggi: «non esiste l'equazione "tanti adempimenti formali uguale sicurezza". Anzi oltre un certo limite penso che più adempimenti formali possano produrre minor sicurezza sostanziale». Troppi controlli insomma, troppi “lacci e lacciuoli”. Le parole di Sacconi riecheggiano quelle sentite al convegno dello scorso fine settimana dei giovani di Confindustria. La relazione introduttiva lamentava "la fretta con cui il precedente governo ha licenziato il Testo Unico sulla sicurezza dei luoghi di lavoro". "Rendere ancora più complesse e difficili le norme che presidiano la sicurezza sul lavoro impone costi crescenti agli imprenditori che già seguono il dettato della legge mentre non sfiora neppure chi dell'illegalità fa una prassi", continuavano i giovani imprenditori. Non ci servono ancora lacrime di coccodrillo. Sappiamo chi sono i mandanti di questi omicidi sul lavoro: sono coloro che pongono il profitto al di sopra della vita dei lavoratori. E sappiamo chi sono i complici: i governi dell’Unione Europea, che proprio ieri hanno approvato una deroga al limite di 48 ore settimanali di lavoro. Attraverso accordi individuali si potrà lavorare fino a 60 ore settimanali (e in alcuni casi fino a 65). Chi può dimenticare che gli operai morti nel rogo della Thyssen Krupp facevano turni fino a 12 ore senza mai fermarsi? Ma conosciamo anche chi si volta dall’altra parte, facendo finta di non vedere. Sono i vertici sindacali che la prossima settimana si siederanno al tavolo di trattativa con governo e Confindustria per depotenziare il contratto nazionale di lavoro e le garanzie ancora in esso inserite. E che hanno convocato solo due ore di sciopero domani a Catania, invece di fermare tutto il paese per protestare contro la strage di Mineo. Finchè i lavoratori non potranno effettivamente controllare tutti gli aspetti dell’attività lavorativa sui posti di lavoro, finche ai propri rappresentanti non verrà dato un potere reale sulla sicurezza in fabbrica, nei cantieri e negli uffici, la classe operaia di questo paese piangerà altri morti. Vogliamo ricordare i lavoratori morti a Mineo impegnandoci ancor di più nella lotta per una società libera dalla schiavitù del profitto, dove chi lavora non debba rischiare la propria vita ogni giorno per portare il pane a casa.

venerdì 13 giugno 2008

Un congresso decisivo per il Prc - L'editoriale del nuovo numero di Falcemartello

Il congresso in corso è il più duro della storia del Partito della rifondazione comunista. Esige da parte di tutti noi un forte scatto d’orgoglio e partecipazione cosciente e attiva. La difficoltà deriva innanzitutto dalla sconfitta maturata negli ultimi tre anni e rivelatasi in modo dirompente nelle elezioni del 13-14 aprile, ma non si riduce ad essa. Il carattere potenzialmente distruttivo di questa situazione dipende dalla natura di quella sconfitta. Può accadere, è accaduto tante volte, che un partito comunista arretri, che venga sconfitto da un rapporto di forza sfavorevole o anche da errori specifici nell’impostazione di una battaglia. Si perde terreno, consenso, l’organizzazione ne viene indebolita, ma rimane la ragione politica e di classe della battaglia combattuta, sulla quale è possibile correggere gli errori e riprendere il cammino. La nostra storia recente, tuttavia, è diversa. Il Prc non solo è stato sconfitto, ma ha disertato il terreno dello scontro: questa è l’amara verità dei tre anni nei quali siamo stati parte dell’Unione e poi del governo Prodi. Le date del 9 giugno e del 23 luglio 2007 ce lo ricordano con particolare durezza. Il 9 giugno vide la rottura fra il partito e il movimento contro la guerra; il 23 luglio fu la rottura con milioni di lavoratori che avevano votato l’Unione, e noi con essa, nella speranza di porre un argine al precipitare della loro condizione di lavoro e di vita. Il Prc, imprigionato nella gabbia governativa, fu assente da quello scontro, impegnato a giustificare l’ingiustificabile. Prima e dopo quelle due date decisive, una serie interminabile di bocconi amari, promesse smentite, acrobazie verbali, autodifesa ad oltranza dei gruppi dirigenti. Per questo la sconfitta elettorale ha lasciato questa scia di smarrimento, perdita di punti di riferimento, e ci consegna la necessità di una vera e propria rivoluzione interna al nostro partito: politica, di gruppi dirigenti, di programmi, obiettivi, pratiche. Il primo compito è quindi quello di appropriarci di questo congresso, di farne il primo passo di questa svolta. Sono tanti, troppi quelli che suonano le campane a morto per Rifondazione comunista e guardano al congresso con la logica speculativa di chi punta non a ricostruire, ma a raccogliere i cocci in favore di altri progetti “costituenti” più o meno immaginari. Il nostro appello è innanzitutto a tutti i compagni che respingono questa logica distruttiva. FalceMartello si identifica pienamente nel percorso della mozione 4, della “svolta operaia”. Nelle pagine di questo numero abbiamo tentato di trattare alcuni dei temi decisivi di questo congresso. Qui vogliamo invece sottolineare alcuni punti riguardanti il modo come pensiamo sia giusto affrontare il dibattito. Ai compagni che partecipano ai congressi nei circoli ci permettiamo di segnalare alcuni punti importanti.
1) Respingiamo logiche di “voto utile” e di esproprio della sovranità degli iscritti e delle iscritte. Mettiamo al centro una valutazione scrupolosa degli argomenti politici proposti.
2) Le mozioni sono rappresentate da compagni in carne e ossa: si valuti quanto scritto nei testi in relazione al ruolo che le diverse aree hanno avuto nella vita del partito in questi anni. Si valuti la coerenza tra quanto si dice, quanto si scrive e i comportamenti concreti.
3) Respingiamo il sensazionalismo, i ricatti emotivi, il congresso svolto nei corridoi, nelle accuse e controaccuse che circolano sulla stampa o su tanti siti internet dove anziché parlare della condizione sociale del nostro paese o di temi politici e organizzativi seri per il rilancio del partito ci si diletta appunto nel “ping-pong” congressuale.
Gran parte del gruppo dirigente è da questo punto di vista irrecuperabile, e non è certo a loro che rivolgiamo questo invito. L’incapacità della maggior parte della direzione uscente di condurre un dibattito politico dignitoso non è l’ultimo dei motivi per cui ci battiamo per un ricambio profondo, non solo della linea politica, ma anche di chi dirige il partito. Per cominciare, proporremo non solo il criterio del salario operaio a tutti i livelli di direzione e istituzionali, ma anche una presenza obbligatoria di lavoratori dipendenti, particolarmente di lavoratori in produzione, nei futuri organismi dirigenti. Partiamo da una presenza ridotta negli organismi dirigenti uscenti, ma questo non significa che in questo congresso non abbiamo ambizioni, al contrario. La nostra volontà non è solo quella di allargare il consenso verso le nostre posizioni, cosa che siamo certi di poter fare, ma è anche di abbattere definitivamente quegli steccati che hanno fatto sì che negli anni scorsi tanti compagni e compagne capaci non potessero avere alcun ruolo nella costruzione del partito e del suo intervento di massa. Questo non ci ha fermato e chi ci conosce lo sa. In questi anni nessuna area del Prc, comprese quelle che disponevano di consensi e mezzi ben superiori ai nostri, ha sviluppato un intervento nella società neppure lontanamente paragonabile a quanto abbiamo fatto verso le fabbriche, le scuole, le università, ovunque potessimo aprirci una strada per interloquire con una classe operaia completamente abbandonata dalla sinistra e dai dirigenti sindacali. Questo lavoro prezioso fa parte della nostra battaglia congressuale e lotteremo affinché a partire da questo congresso possa entrare in una relazione virtuosa non solo con quei compagni che sosterranno la nostra mozione, ma con tutti coloro che si rimboccheranno le maniche nel duro lavoro di ricostruzione e rigenerazione necessario a far vivere il Prc. È questa anche la nostra risposta a chi, in particolare i compagni del primo documento, ha posto fin dal principio la questione della cosiddetta “gestione unitaria” del partito dopo il congresso. Ci pare come minimo precipitoso parlare prima che un solo circolo e un solo iscritto abbia potuto pronunciarsi nei congressi di base. È positivo che si critichi, sia pure con ritardo, la logica che allo scorso congresso portò all’affermarsi di una concezione maggioritaria, del “chi vince piglia tutto”. Detto questo, ci sono molte domande aperte. Unità di chi, con chi e per fare cosa? Su quali basi politiche? Su quali proposte organizzative? Unità di un gruppo dirigente sconfitto e frantumato che si autoassolve prima ancora che il congresso sia cominciato? O autentica unità nel lavoro di costruzione, radicamento, nell’elaborazione di piattaforme per l’intervento, in una ricerca teorica scrupolosa e aperta al contributo di tutti i compagni? Siamo fermamente convinti che il rafforzamento delle nostre posizioni può contribuire significativamente a dare a queste domande una risposta rigorosa, risposta che spetta innanzitutto al congresso stesso e ai compagni che vi parteciperanno.

giovedì 12 giugno 2008

Onorevole stipendio - Operai della FIAT di Melfi scrivono a Napolitano








da Repubblica. MELFI - Vittorio Cilla ha due figli e 1.200 euro al mese in busta paga, assegni familiari compresi. Passa tutta la vita a realizzare sportelli che poi saranno montati sulla Fiat Punto. E un poco gli sono girate. "Perché ho fatto un conto: questi signori che cumulano il doppio incarico, quello di parlamentare e di consigliere regionale, in un mese intascano quanto me in un anno intero. Mi sembra uno scandalo, una vergogna". Per questo l'operaio Vittorio Cilla prima è sbottato in mensa, poi ne ha parlato in macchina e in piazza: infine insieme con otto colleghi - tutti dipendenti della Sata, l'azienda della Fiat di Melfi, o di ditte dell'indotto - ha deciso di prendere carta e penna e di scrivere al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. "Ci sentivamo umiliati e un poco ci vergognavamo anche" spiega Antonio D'Andrea. Loro cittadini lucani rappresentati da quattro consiglieri regionali (Mara Antezza e Carlo Chiurazzi del Pd, Cosimo Latronico ed Egidio Digilio del Pdl) che, in attesa di scegliere, cumulavano incarico e indennità. "È proprio così difficile - hanno così scritto a Napolitano insieme con Michele Manniello, Antonio Russo, Franco Di Cugno, Giovanni Carnevale - avere norme che impediscano cose di questo genere? Come si può chiedere a chi percepisce mille euro al mese di vivere onestamente se poi lo Stato permette queste cose? Presidente, speriamo in un suo autorevole intervento affinché cose come queste e tante altre (negative) che caratterizzano la pratica politica non si verifichino, se si vuole che i cittadini tornino ad avere fiducia nei loro rappresentanti".

lunedì 9 giugno 2008

Una svolta operaia per una nuova Rifondazione comunista - Intervista a Claudio Belotti

Ormai ci siamo. Il VII Congresso di Rifondazione Comunista è alle porte. Come tre anni fa vi presenteremo i documenti congressuali attraverso alcune interviste fatte ai maggiori rappresentanti delle diverse mozioni. Questa settimana è la volta della mozione numero 4 "Una svolta operaia per una nuova Rifondazione comunista", presentata dai compagni di FalceMartello (area che prende il nome dall'omonima rivista). Per noi un piacere parlarne con Claudio Bellotti della Direzione nazionale di Rifondazione Comunista, primo firmatario del documento.

Partiamo da una considerazione precongressuale e postelettorale: il nostro VII Congresso, peraltro previsto come da scadenze statutarie, dopo la sconfitta nelle urne assume un sapore diverso da quello che avrebbe avuto se in Parlamento ci fossero ancora le sinistre e i comunisti. Quanto è inserita la discussione sul dopo-voto nel dibattito dentro il PRC?
C'è molto formalismo nelle riflessioni proposte sulla nostra sconfitta elettorale. La tesi proposta particolarmente nelle mozioni 1 e 2 è che siamo stati sconfitti fondamentalmente dall'involuzione sociale e culturale, una spiegazione che non rende conto delle nostre responsabilità politiche. Il popolo non ci vota? È colpa del popolo... Se questo è il ragionamento, le autocritiche altisonanti servono a poco e nulla. A nostro avviso una riflessione seria sulla nostra sconfitta elettorale deve necessariamente partire da noi, da quello che abbiamo fatto in questi tre anni seguiti al congresso di Venezia. Il 9 giugno 2007 si è manifestata la nostra rottura con il movimento contro la guerra; il 23 luglio la rottura, decisiva, con i lavoratori. Prima e dopo quelle due date decisive, una grandinata di bocconi amari, con il partito sistematicamente collocato nel posto sbagliato, a difendere un governo indifendibile. È questo che ha dato alla sconfitta il suo carattere devastante: si può perdere dopo aver combattuto, in quel caso si perde forza, ma perlomeno si mantiene il senso della propria battaglia. Qui invece non c'è stata una sconfitta sul campo, ma l'abbandono da parte del partito del terreno di scontro, l'essersi collocati sulla barricata sbagliata. Se non si parte a discutere da qui, saremo condannati a ripetere gli stessi errori. È poi tragicomico sentire dire che "non avevamo capito" che nell'Unione comandavano Confindustria e Padoa Schioppa, che "non avevamo capito" la forza dell'avversario. Un gruppo dirigente responsabile di un disastro del genere deve solo andare a casa.

In queste settimane il tema centrale su cui si è focalizzata l'attenzione della cosidetta "opinione pubblica", ben manovrata dal governo e dai mezzi di informazione, è la sicurezza: ma non quella sui posti di lavoro. Bensì la tensione securitaria che viene alimentata dalle fobie per gli stranieri, per i diversi. A Roma un giornalista di Radio Deegay è stato picchiato e gli è stato intimato di non trasmettere più. Nel quartiere del Pigneto una ventina di neonazisti ha assaltato negozi gestiti da bengalesi e da indiani. Le ronde padane pullulano dal Nord Ovest alle più remote città della Penisola. Senza parlare dell'aggressione alla Sapienza. Rifondazione Comunista ha gli strumenti per arginare questo clima di recrudescenza violenta e di intolleranza?
Il dilagare del razzismo, dei pregiudizi, del peggiore individualismo, è una parte non secondaria della sconfitta di questi anni. Se il movimento operaio viene rinchiuso nelle gabbie concertative, se i lavoratori vengono imbavagliati dai loro stessi dirigenti, si aprono spazi preoccupanti per la peggiore demagogia di destra. Peraltro questa offensiva ideologica e culturale non nasce dal nulla, è il contorno necessario per l'attacco sul piano sociale che viene da Confindustria e dalla destra al governo. Solidarietà, uguaglianza, unità, diritti, sono parole credibili solo se vengono da una sinistra che dimostra ogni giorno di essere coerente e intransigente nella difesa dei diritti dei lavoratori, pronta a lottare in prima fila anche nelle condizioni più avverse, altrimenti vengono viste come ipocrisia buona per i salotti progressisti, ma priva di contenuto per chi vede ogni giorno peggiorare la propria condizione sociale. La solidarietà che dobbiamo suscitare non può essere quella di chi, avendo la pancia piena, a fine pasto lascia un boccone a chi vive peggio. Deve essere la solidarietà fra chi lotta per i propri diritti e attraverso quella lotta comprende appieno la necessità dell'unità fra tutti gli opppressi come condizione indispensabile per condurre la propria battaglia. La battaglia antifascista e antirazzista deve diventare parte integrante della nostra piattaforma sociale, la risposta deve venire non solo dal nostro partito, ma innanzitutto da coloro che subiscono la discriminazione. Gli immigrati sono ormai parte fondamentale della classe operaia anche in Italia e sono convinto che saranno proprio il loro protagonismo e le loro lotte a rompere le barriere e ad indicare anche a noi la strada da intraprendere. Dobbiamo fare di tutto per favorire questo percorso.

C'è un'altra emergenza che viene invece sistematicamente trascurata, salvo qualche intervento sporadico quando ci scappa la tragedia: è la sicurezza sul lavoro. Non è forse questo il vero problema sicurezza nel nostro paese?
La sicurezza e la salute sul lavoro sono un risultato diretto dei rapporti di forza in fabbrica e nella società. Leggi, ispezioni, normative hanno senso solo se le inseriamo in questa prospettiva. Solo un lavoratore che abbia dei diritti certi, un salario decente, che non subisca la concorrenza al ribasso di chi è precario, in nero, o comunque ricattabile, può contrapporsi alle situazioni di pericolo sul lavoro. Poi ci sono i punti specifici: le leggi più recenti sull'orario di lavoro minano profondamente la sicurezza, ormai si sfonda in tutte le direzioni: orario giornaliero, settimanale, lavoro festivo, straordinari, riposo fra un turno e l'altro; così come è decisivo il dilagare di subappalti e di esternalizzazioni sia nel pubblico che nel privato. Dobbiamo partire facendo nostra una delle rivendicazioni emerse dalla lotta dei portuali di Genova (e non solo) dopo la morte di un loro compagno di lavoro: rappresentanti alla sicurezza eletti da tutti i lavoratori di un sito produttivo, a prescindere da quale sia l'impresa che li impiega, delegati che abbiano il diritto di ispezionare anche senza preavviso l'ambiente lavorativo e, in caso di pericolo, di interrompere la produzione.

Torniamo al VII Congresso di Rifondazione Comunista: da una parte si avanza la proposta della "Costituente della sinistra" e dall'altra quella della "Costiente dei comunisti". È un bisogno di unità o una ricerca forzata di assemblaggio di culture simili che portino ad una semplificazione del quadro politico nel frammentato mondo della sinistra italiana? In mezzo alle "costituenti" c'è posto per una posizione unitaria e radicale allo stesso tempo: un rafforzamento dell'esistente per una prospettiva unitaria della sinistra che rispetti le singole identità?
Le due domande sono strettamente legate. Ritengo che le due proposte di "costituente", sia pure diverse fra loro, rappresentino un errore gravissimo. Entrambe si propongono di "smontare" il Prc e prenderne qualche pezzo da assemblare con altri spezzoni per fare un altro partito. Sono quindi proposte demolitorie del Prc stesso. La costituente della sinistra è la più pericolosa, di fatto sarebbe una scissione a destra dal Prc per unirsi a Sinistra democratica e ad altri settori, peraltro assai ristretti, fortemente condizionati dal Partito democratico. La "costituente comunista" implica una sorta di allargamento del Pdci, senza alcuna riflessione sulle posizioni ultragoverniste che hanno caratterizzato il gruppo dirigente di quel partito in questi 10 anni. Peraltro ritengo a dir poco ambiguo il fatto che i compagni dell'Ernesto (mozione 3) dicano che la loro mozione non propone di aderire all'appello dell'"unità comunista" quando poi girano l'Italia assieme a Diliberto facendo iniziative a sostegno di quell'appello... Il primo requisito di un dibattito serio dovrebbe essere la coerenza. Il problema dell'unità a sinistra, che peraltro non riguarda solo le forze del defunto Arcobaleno, ma anche altre forze di sinsitra, comprese quelle che si sono scisse dal Prc, può essere posto solo in termini di unità d'azione, con un dibattito trasparente e democratico su piattaforme e battaglie comuni, il cui scopo non sia quello di salvare la faccia o la poltrona a dei dirigenti screditati, ma quelli di creare la mobilitazione più ampia e forte possibile contro la destra. Se in futuro questo approccio si intersecherà con una ripresa dei movimenti di lotta, allora sì che potrebbero aprirsi scenari credibili di unità sulla base di posizioni realmente antagoniste che seppelliscano una volta per tutte il governismo e il moderatismo che ci hanno portati fin qui. Ferrero nei mesi scorsi ha citato, secondo me del tutto a sproposito, il "modello Flm". Ma l'Flm rappresentava la spinta unitaria che salendo dalle fabbriche e dalle lotte degli anni '70 metteva in crisi i gruppi dirigenti e le burocrazie, che non a caso spesso la osteggiarono e lavorarono per depotenziarla. Quello che abbiamo avuto finora e che ancora ci si ripropone in varie forme (costituenti, "federazione", rilancio della Sinistra europea) è stato l'esatto contrario, ossia l'unità dei gruppi dirigenti alle spalle della base e contro le spinte più radicali e combattive. Il primo modello di unità è fertile e da perseguire, il secondo è distruttivo e moderato.

Secondo la posizione che qui rappresenti sono da escludere rapporti con il Partito Democratico o un dialogo su determinate tematiche è ancora possibile? E se sì, a che livello?
Il Partito democratico è un'espressione diretta del grande capitale e sarebbe ora che lo capissero tutti. Sulla politica economica sono più liberisti della destra, sui diritti inseguono le peggiori spinte xenofobe (quando non sono loro stessi a scatenare le campagne razziste, si vedano i sindaci del Pd). Chi parla di dialogo col Pd dovrebbe indicare un solo terreno sul quale questo sia possibile. Chi sogna che nel Pd possa nascere una "sinistra" con la quale fare fronte vive in un altro pianeta. Dobbiamo tagliare definitivamente questo guinzaglio, il che significa rompere anche nelle amministrazioni locali dove continuamo a subire le stesse politiche che abbiamo subìto col governo Prodi. Solo così potremo recuperare una effettiva autonomia politica, altrimenti saremo sempre un satellite del Pd, destinati a spaccarci e a entrare in crisi ogni volta che si pone il problema del "voto utile" o del "fermare la destra", che peraltro come si è ampiamente dimostrato non solo non viene arginata dalle alleanze come l'Unione, ma se ne avvantaggia per poi ripresentarsi più prepotente e arrogante che mai.

Puoi rivolgere un invito al voto per la tua mozione cercando di esprimere, al comtempo, una sintesi estrema della medesima?
Inviti al voto non ne faccio, questa non è una campagna elettorale né una televendita! Dico solo che il congresso deve essere dei compagni nei circoli, non è il congresso delle interviste, dei servizi televisivi o delle paginate di inserzioni a pagamento sui giornali. L'importante è che i compagni decidano in base agli argomenti politici proposti e valutando ciò le diverse aree hanno saputo esprimere sia nel dibattito che nell'intervento nella società, senza farsi condizionare da logiche d'immagine o da "fedeltà" dovute a questo o quel dirigente. La nostra area propone una "svolta operaia" del partito, intendiamo dire che il Prc può vivere e rinnovarsi solo se si ricostruisce come partito dei lavoratori, espressione dei loro bisogni, delle loro lotte, immerso fino in fondo nella classe operaia e fra gli sfruttati. La nostra ambizione non è solo che questa posizione prenda dei voti, ma soprattutto che su questa impostazione si apra un dialogo fecondo e un lavoro comune con tutti quei compagni, che ci votino o meno, che come noi sentono che questa crisi drammatica può anche essere salutare se ci porta davvero a un cambiamento di rotta.