1074 VOLTE GRAZIE MIGLIONICO

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venerdì 16 maggio 2008

Subito l'opposizione a Berlusconi. La costituente? Spacca la sinistra

«Capire il perché di una così pesante sconfitta elettorale e politica per me è il primo punto». Paolo Ferrero, già ministro della solidarietà sociale nel governo Prodi, la mette così anche per ribadire che non si candida alla segreteria del Prc.

Perché partire dalla sconfitta?
Perché se non teniamo ben presente i motivi per cui abbiamo perso rischiamo di rifare gli stessi errori anche adesso. Due elementi mi paiono da sottolineare. Innanzitutto abbiamo pagato pesantemente il fatto che il governo Prodi ha deluso le aspettative di chi ci aveva votato nel 2006. Questo vuol dire che nel Congresso di Venezia abbiamo sbagliato l'analisi dei rapporti di forza; abbiamo pensato che la sinistra moderata fosse permeabile alle nostre istanze e invece lo era a quelle dei poteri forti. E abbiamo pensato, sbagliando, che la costruzione del programma elettorale fosse una garanzia: del programma ne hanno fatto carta straccia. Insomma, siamo stati velleitari. La seconda ragione è che la Sinistra arcobaleno è stata una operazione politica di vertice, non in grado di esprimere una sua utilità sociale: non se ne è capita l'utilità, il ruolo storico, nel senso gramsciano del termine. Così, "salvare" la sinistra unendone tutto il suo ceto politico, è parso un problema privato nostro, che non riguardava le persone in carne ed ossa. Eccesso di fiducia nella sinistra moderata e politicismo nella costruzione della sinistra. Ecco due errori da tener ben presente per evitare di ripeterli, cosa che mi pare caratterizzi invece il dibattito attuale.

Quando dici «abbiamo», vuoi dire che ti reputi anche tu responsabile della sconfitta?
Certo. La responsabilità della sconfitta è di tutto il gruppo dirigente che ha scelto la linea del Congresso di Venezia. E io sono tra i maggiori responsabili. L'accusa secondo cui avrei scaricato su altri la responsabilità della sconfitta è una bugia, una pura e semplice falsità. In tutti gli interventi ho sempre chiarito che non esistevano capri espiatori e che la responsabilità era di tutto il gruppo dirigente. Questa menzogna è stata fatta circolare ad arte per nascondere i veri motivi della rottura nel gruppo dirigente. Del resto di menzogne sul mio conto ne sono state messe in circolazione così tante in questo mese che ho dovuto rassicurare mio figlio sul fatto che non l'avrei mai mangiato.

Però, allora, non è che sia chiarissimo su cosa si è prodotta la rottura nel gruppo dirigente.
Si è prodotta perché durante la campagna elettorale una parte del gruppo dirigente, a partire da Fausto, ha proposto e attivamente lavorato al superamento del partito, proponendo la costruzione di un nuovo soggetto politico in cui il comunismo diventasse una corrente culturale. Ancora dopo il disastro elettorale questi compagni hanno insistito nel proporre di accelerare il percorso della Costituente della sinistra «con chi ci sta» (cioè noi e Sd). Mi sono quindi trovato davanti ad una inaccettabile forzatura, di scioglimento del partito dall'alto, a cui mi sono opposto in modo netto. Su questo si è rotto il gruppo dirigente. Ho poi trovato incredibile che alcuni di quegli stessi dirigenti che hanno proposto il superamento di Rifondazione oggi neghino quella prospettiva. Non sulla sconfitta ma sulle prospettive politiche si è diviso il gruppo dirigente.

Va bene, tu non vuoi sciogliere il partito. Ma cosa proponi?
Il nostro primo problema è quello di costruire l'opposizione al governo. Berlusconi sta procedendo molto rapidamente, soprattutto su tre fronti: il ridisegno delle relazioni sociali (detassazione degli straordinari; smobilitazione del contratto nazionale di lavoro), cercando di cancellare quel che resta del movimento operaio, facendo con la non belligeranza del Pd ciò che non gli è riuscito nel 2002 soprattutto grazie all'opposizione della Cgil; il rilancio delle grandi opere, dalla Tav al Ponte sullo stretto agli inceneritori; l'uso delle politiche securitarie a fini propagandistici. Se la sinistra non si dà un proprio ruolo politico nella costruzione dell'opposizione, muore sul serio.

E come si fa?
Innanzitutto ripartendo dalle forze che hanno manifestato il 20 ottobre, ma coinvolgendo anche chi non c'era, dai Verdi e Sinistra democratica a tutto l'arcipelago delle forze sociali e dei comitati.

Dimentichi il Pd…
Non lo dimentico affatto, né mi sogno di fare un'opposizione fatta di vuoto estremismo, come paventa Nichi Vendola. Solo che dobbiamo partire dalla realtà e non dai desideri. I discorsi di Fassino e Veltroni durante il dibattito sulla fiducia a Berlusconi sono consociativi. E non possiamo ignorare che la maggioranza della Cgil sta scegliendo modifiche contrattuali che indeboliscono il contratto nazionale. In questo quadro, l'unica strada per restituire un ruolo politico alla sinistra e contemporaneamente per aprire contraddizioni dentro il Pd, è di costruire un movimento forte, una opposizione sociale ampia e articolata sui territori. Non è che basta dire al Pd "fai opposizione" perché succeda qualcosa: dovremmo avere imparato, stando dentro la maggioranza di Prodi, che il Pd non è permeabile alle nostre istanze. E poi: il Pd ha lavorato per la scomparsa della sinistra e adesso dovrebbe costruire un'opposizione con noi? Se, come io credo, le due sinistre esistono e noi siamo alternativi strategicamente al Pd, proprio per non essere minoritari dobbiamo costruire la nostra forza e la nostra ragione storica di esistenza a partire dal radicamento e dal conflitto sociale.
Cosa diversa è costruire relazioni con quella parte del Pd che, per esempio sul terreno della riforma della legge elettorale per le europee, è indisponibile a cancellare la sinistra innalzando la soglia di sbarramento. Ma non si può confondere questo con la necessità della costruzione dell'opposizione sociale.

Intendi dire: unire la sinistra a partire dalle pratiche sociali?
Sì, la nostra sconfitta è stata sull'utilità sociale e da lì dobbiamo ripartire. Proprio per questo sono contrario alla Costituente della sinistra, così come a quella comunista; queste proposte invece di unire spaccano la sinistra su appartenenze ideologiche. Ottenendo l'effetto, l'una di finire in un eccesso di subalternità al Pd, l'altra di ridursi ad un mero ruolo testimoniale. Le costituenti politiche, di fatto, impediscono la nascita di un movimento unitario, che è, invece, la cosa di cui abbiamo più bisogno oggi: alimenteremmo la concorrenza invece dell'unità. Quello che voglio dire è che non possiamo mettere avanti i processi di aggregazione politica rispetto ai percorsi di ricostruzione sociale. Il punto è la forza della sinistra alternativa, la sua capacità di realizzare un insediamento sociale, la sua capacità di lotta: da qui può partire un progetto politico, non viceversa. Io penso ad una rete di relazioni stabili tra soggetti organizzati e singoli, ad un processo con le gambe per terra, perché o si parte dal sociale o non si va da nessuna parte.

E il comunismo?
Dopo la tragedia del 900, oggi si rischia la farsa. Tra chi lo vuole imbalsamare nei baffoni di Stalin e chi lo riduce ad una "domanda", rischiamo il rovesciamento del comunismo in idealismi religiosi di varia natura e di dubbia utilità o nel chiamare comunismo il buon senso di non procedere per dogmi ma interrogandosi su ciò che accade intorno.

E invece?
Invece, per me comunismo è proprio il marxiano movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Cioè la capacità di costruire lotte e percorsi sociali, in cui la difesa degli interessi materiali delle classi subalterne coincide il più possibile con la rottura dei rapporti di potere - e qui c'è tutto il tema della rivoluzione: o il conflitto si pone il problema della rottura dei rapporti di potere, o è destinato ad essere subalterno - e con la maturazione della coscienza di sé. Insomma, il comunismo è il contrario dell'idea religiosa; chiamiamo comunismo il percorso di autocostruzione del soggetto della trasformazione; è la capacità di capire dove si è e cosa bisogna fare per cambiare; è l'intreccio tra l'analisi, la costruzione del confitto e la riflessione sullo stesso. Tanto più necessario oggi in quanto siamo alle prese con una crisi profonda della globalizzazione, alla quale il liberismo temperato non è in grado di dare risposte, mentre la destra presenta il suo volto "rivoluzionario", costruendo l'immaginario collettivo su un "nemico" (l'Ue, la Cina, l'immigrato, lo zingaro). A questa destra populista o contrapponiamo una radicalità altrettanto forte, comunista, oppure vince la guerra tra poveri.

Se capisco bene, pensi ad una rifondazione e comunista.
Sì. Per costruire una sinistra efficace fuori dal recinto socialdemocratico è necessario che sia ben vivo il progetto politico del Prc: che è, appunto, quello di tenere insieme la rifondazione, l'innovazione e il comunismo. La proposta della Costituente della sinistra e la sua gemella, cioè la Costituente comunista, distruggono il progetto di rifondazione proprio perché separano i due termini: l'innovazione senza comunismo da un lato e il comunismo senza rifondazione dall'altro. Sarebbe un tragico errore.

In ogni caso sarà il congresso a decidere…
Continuo a pensare che fosse meglio discutere per tesi anziché documenti contrapposti: quest'ultima modalità contribuisce a destabilizzare il partito e molti compagni e compagne nei circoli sono giustamente arrabbiati perché non vogliono partecipare ad una conta. Tanto più se si avanza la proposta di un segretario, perché si dà avvio ad un processo plebiscitario che è il contrario di cosa ci serve. La nostra sconfitta è politica, non un problema di leadership: c'era Bertinotti sia quando si prendeva l'8% sia quando si è preso il 3%; in Puglia Nichi ha vinto, ma la Sinistra arcobaleno ha preso il 2,9%; e la Lega Nord vince.

Ma tu, ti candidi o no?
No, non voglio che il congresso si trasformi in una sorta di primarie. Sarebbe di nuovo rovesciare i problemi. Basta vedere il caso di Veltroni: dopo le primarie del Pd sembrava irresistibile, ma non ha spostato una virgola. L'unica chance che abbiamo è ripartire dal progetto politico: da lì dovranno uscire i nostri gruppi dirigenti e non il contrario. Il Prc deve restare, per l'oggi e per il domani; è necessario ma non sufficiente, per questo deve essere il motore dell'aggregazione della sinistra dal basso, costruendo l'opposizione per rimettere a tema l'alternativa. Anche per questo lancio un appello al tesseramento a Rifondazione.

giovedì 15 maggio 2008

Un appello di delegati e lavoratori a sostegno della mozione di Falcemartello

"Una svolta operaia per una nuova Rifondazione comunista"

Dopo il terremoto elettorale del 13-14 aprile la sinistra in parlamento non esiste più. Questa situazione ha incoraggiato Montezemolo e la nuova presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia a lanciare un’offensiva senza precedenti contro il lavoro dipendente. I padroni, forti del risultato elettorale, dell’accondiscendenza del Partito democratico e della subalternità dei sindacati, Cgil in primis, si sono fatti ancora più arroganti e preparano una vera e propria vendetta di classe.
Le ragioni della sconfitta della sinistra sono da ricercarsi nella politica del governo Prodi degli ultimi due anni. Il governo, si è reso responsabile tra le altre cose dello scippo del Tfr, della contro-riforma del welfare, di due finanziarie che hanno colpito i più deboli e favorito i settori privilegiati (basti pensare al taglio del cuneo fiscale). La condizione operaia e la precarietà si è inasprita ancor più, per giunta con la Cgil che riconoscendo in Prodi il “governo amico” non ha organizzato alcuna mobilitazione per contrastare questa situazione. La curva dei morti sul lavoro ha avuto un’impennata senza precedenti con gravissimi incidenti come quello della Thyssen-Krupp di Torino che ancora oggi grida vendetta al cielo.
È su questo malessere sociale che si può spiegare la vittoria del Pdl e il successo della Lega nel Nord Italia. Di fronte a una classe lavoratrice che è stata lasciata sola è naturale che in tanti si siano rifugiati nell’astensione o nel voto di protesta.
Berlusconi, Fini e Bossi non impiegheranno molto per dimostrare che la loro opzione è anche peggiore di quella di Veltroni e Prodi. Proprio per questo bisogna preparare per il futuro un’alternativa realmente di sinistra che parta dagli interessi fondamentali delle lavoratrici e dei lavoratori. Non ci serve l’ennesimo partito governista ma un partito di lotta e di opposizione che si costruisca a partire dal conflitto sociale.
Nonostante la Sinistra Arcobaleno sia stato un fiasco c’è chi persevera nel proporre la liquidazione di Rifondazione comunista. Come qualunque lavoratore sa, la maggior parte dei delegati più combattivi e tenaci nel difendere i diritti sui posti di lavoro sono comunisti. Questo non succede a caso ma si lega a una grande tradizione politica che un gruppo dirigente irresponsabile vuole cancellare.
Ci sarà nelle prossime settimane un importante congresso di Rifondazione Comunista, per il futuro della sinistra italiana e per le sorti del movimento operaio, nel quale si confronteranno 5 posizioni che brevemente riassumiamo:
- Giordano e Vendola che vogliono continuare sulla strada fin qui intrapresa che conduce alla dissoluzione del partito.
- Ferrero (alleato con Grassi) che propone la stessa linea seppure in tempi diversi e cioè la confederazione della sinistra arcobaleno. Per altro non è privo di responsabilità sulle scelte passate visto che era a capo della delegazione di governo del Prc.
- Russo con una mozione “ponte” tra le prime due senza un chiaro e definito profilo politico.
- I compagni dell’Ernesto che intendono formare un nuovo partito assieme al Pdci, il quale pur avendo tra le sue file molti bravi compagni è una forza guidata da dirigenti che più governisti non si può. Proprio sulla questione del governo Diliberto si era scisso da Rifondazione nel ’98.
- In ultimo chi propone una svolta operaia per Rifondazione. Sono quei compagni che da anni si battono contro la dissoluzione del partito e che non a caso all’ultimo congresso avevano presentato la mozione “Rompere con Prodi, preparare l’alternativa operaia”; l’unica opzione che proponeva una chiara linea di indisponibilità ad accordi con il centrosinistra con “paletti” o senza “paletti”. E che obiettivamente aveva previsto il disastro che si è verificato una volta entrati al governo.
Come delegati e attivisti comunisti, invitiamo tutti i lavoratori ad iscriversi a Rifondazione Comunista per partecipare a questa discussione. Siamo consapevoli che la migliore attività sindacale ha forti limiti se non è sostenuta dall’esistenza di un partito che raccolga al proprio interno i lavoratori più coscienti e sia in grado di organizzarli dando loro una rappresentanza sul piano politico e sociale.
Nelle fabbriche e nelle aziende c’è una gran rabbia che presto o tardi esploderà. Importanti contraddizioni tra base e vertice sindacale si apriranno. Tutto ciò rappresenterà un’occasione importante di riscatto per i lavoratori e per il nostro partito se sapremo dare fin da oggi una svolta alla politica del Prc.
Sosterremo il documento “Una svolta operaia, per una nuova rifondazione comunista” non solo perché quest’area aveva avvertito sui pericoli del governismo, ma anche perché non si è limitata a dirlo nelle riunioni di partito, ma ha difeso le proprie idee nel movimento, nel conflitto sociale, con l’intervento dei propri militanti dentro e fuori le fabbriche nelle grandi vertenze che hanno riguardato i lavoratori su Tfr, pensioni, contratti e ristrutturazioni in ogni angolo del paese.
Ovunque c’era uno sciopero, una manifestazione, un picchetto c’era sempre un compagno che con una mano dava un volantino di sostegno alla lotta e con l’altra offriva Falcemartello.
Questo congresso ci riguarda da vicino perchè tratta del nostro futuro. Unisciti alla “mozione operaia” perchè Rifondazione Comunista diventi quel partito dei lavoratori di cui abbiamo più bisogno che mai.

Info: 3392107942 – 3405041453
adesioni: mozioneoperaia@marxismo.net

mercoledì 14 maggio 2008

Roberta Fantozzi: Il futuro della sinistra non può essere il leaderismo

Quello che ci apprestiamo a fare è il congresso più difficile, per la sconfitta drammatica che abbiamo subito dentro la vittoria profonda della destra, e per le divisioni che attraversano il gruppo dirigente che ha sin qui guidato Rifondazione. Entrambe queste condizioni richiedono di affrontare il periodo che abbiamo di fronte con scelte attente, in grado di attrezzare una risposta. Per noi, ma anche per le sorti più complessive della sinistra nel nostro paese, a cui non è certo indifferente la nostra discussione.

Abbiamo bisogno innanzitutto di non isolarci da quanto sta avvenendo. Non ce lo possiamo permettere perché il governo Berlusconi è partito in fretta nell'attacco al mondo del lavoro e converge con Confindustria nella volontà di svuotare definitivamente il contratto nazionale, di eliminare uno degli ultimi strumenti di regolazione universalistica dei rapporti fra capitale e lavoro. Diversamente da quanto accadde nel 2002 questa offensiva non è contrastata dalla Cgil nel suo insieme, con il rischio dell'isolamento della Fiom e della sinistra sindacale, e trova sponde pesanti all'interno del PD. Né sfugge come più complessivamente fra rilancio del nucleare, smantellamento del ministero della sanità, trasformazione della clandestinità in reato... si rischi una pesantissima regressione generalizzata. Non isolarsi dal mondo significa fare il congresso, ma non ripiegarsi su di esso, continuare a discutere fuori di noi, costruire da subito l'opposizione, attraverso percorsi che coinvolgano il più ampio schieramento possibile di forze politiche e sociali a sinistra.

La seconda esigenza che abbiamo è quella di provare a confrontarci davvero nel merito delle scelte, di costruire un momento di partecipazione vera, non riducendo la discussione più impegnativa della nostra vita ad una conta di chi sta dietro ad un leader oppure ad un altro. E' per questo che ritengo sbagliato aver candidato ora, a congresso appena iniziato Nichi Vendola alla segreteria. Questa scelta produce una torsione "presidenzialista" del nostro discutere, trasforma il Congresso in un referendum sulla leadership. Così si spiega probabilmente il perché si sia voluto in tutti i modi un congresso a mozioni.

Il congresso a mozioni drammatizza la discussione, impedisce un'operazione di riconoscimento delle differenze e di contemporanea valorizzazione delle condivisioni, produce e ha prodotto il proliferare dei documenti. C'erano mille motivi per evitarlo. Ma certo le mozioni diventano obbligatorie se si vuole enfatizzare la leadership, chiamare a scegliere su questo prima che sul merito. Siamo in una situazione in cui una logica di continue spericolate "accelerazioni" rischia di provocare problemi crescenti. Dagli annunci di superamento di Rifondazione a mezzo stampa in campagna elettorale, mai discussi nel corpo del partito, dalla predisposizione di appelli e percorsi per praticare quell'obiettivo, all'indisponibilità a determinare modalità più serene del nostro confronto e al sovraccaricarsi ulteriore della nostra discussione. Non dubito che Nichi Vendola pensi di stare facendo scelte che ritiene necessarie e che pensi di farlo "per il bene" della sinistra. E' la nostra idea di quello che serve alla sinistra probabilmente ad essere diversa. E credo che una delle differenze di fondo sia su quanto si debba essere adattativi o meno ad un presente che indubbiamente è, nel tempo mediatico, fatto di accelerazioni continue, di riflettori che inquadrano pochi leader, dell'"evento" come modalità necessaria per stare in campo.

Non è certo possibile evitare di fare i conti con lo stato di cose presenti, ma se vogliamo avere un futuro dovremmo dirci che questo passa, dalla necessità di evitare di "strattonare" continuamente quel che resta dei corpi collettivi organizzati, caricandosi sempre dell'esigenza della democrazia, della complessità, della costruzione collettiva. Passa per la consapevolezza del fatto che riradicarsi nella società ha bisogno di tempi lunghi e che nessuna leadership può sostituire la credibilità di un progetto collettivo, come abbiamo dolorosamente sperimentato nel passaggio elettorale. A fronte della frammentazione esistente, della disgregazione in cui siamo immersi, la tentazione di sciogliere il nodo costruendo processi di identificazione iper-verticalizzati è una tentazione evidente, ma non funziona. Significa una cesura, questa sì, non solo con una lunga storia, ma con quanto ci siamo detti sulla necessità di costruire una risposta alla crisi della politica nella ridensificazione delle relazioni sociali, nella democrazia partecipativa. Di questo deve discutere il nostro congresso. Per questo vogliamo che Rifondazione ci sia con il suo progetto e il suo patrimonio di insediamento. Che ci sia e si trasformi, con la capacità di fare società, di essere partito sociale, in rete con le mille forme di associazioni, movimenti, iniziative che hanno prodotto soggettività critiche e organizzazione del conflitto.

Il nostro congresso deve anche discutere di quale rapporto vogliamo avere con il Partito Democratico, la cui strategia dentro l'esperienza di governo (le scelte prevalenti di quanto è poi confluito nel PD) e nella campagna elettorale è stata all'origine della sconfitta. Per l'incapacità di uscire dall'orizzonte delle politiche neoliberiste e produrre l'inizio di un cambiamento percepibile. Ora siamo alla linea dell'"opposizione non pregiudiziale" nei confronti di un governo delle destre, all'attacco su tutti i fronti. E' senz'altro possibile che dentro il PD ci siano articolazioni di linea sull'opposizione a Berlusconi, come ci sono sul perseguire o meno l'obbiettivo della cancellazione della sinistra politica nel nostro paese. Ma è evidentissima la necessità di avere il massimo di autonomia nei rapporti con il PD, di interlocuzione se sarà possibile o di critica netta, come pare necessario.

Vendola ancora ieri ha rivendicato il duplice ruolo, di Presidente della Regione Puglia e di possibile segretario del Partito. I due ruoli non si possono sovrapporre e non solo per quanto ci siamo detti a Carrara. E' impensabile essere contemporaneamente espressione di una coalizione che ha come attore decisivo il Partito Democratico e segretario di un partito che deve esser libero di criticarlo. La compromissione della nostra autonomia, tanto più in una situazione in cui siamo privi di rappresentanza in Parlamento, sarebbe drammatica. Il rilancio del progetto della rifondazione, la nostra autonomia, la strategia di fondo per uscire dalla crisi della politica e della società, sono quello di cui dovremo discutere al congresso. Di questo si tratta. Per noi e per la sinistra. Il futuro non dipende da nessun leader.

Noi al governo, il disastro comincia da lì

Claudio Bellotti ha 38 anni. Il che lo fa il più giovane leader di "area" dentro il Prc. D'altra parte ha cominciato presto: a 15 anni si è iscritto alla Fgci, «ma mi hanno cacciato subito, perché leggevo i libri sbagliati e frequentavo le persone sbagliate». Però, uno così non è che si arrende. E infatti lui e il suo gruppo, legato alla rivista trotzkista "Falce e martello", hanno continuato la battaglia politica approdando a Rifondazione, «non senza resistenze iniziali ad ammetterci». Ma la sfida era troppo accattivante: «Era la fase, '92-'93, in cui il Prc ha avuto lo slancio maggiore - ricorda quasi con nostalgia - quello del massimo afflusso. Non c'era solo il "vecchio Pci", c'erano anche tanti giovani, tanti delegati del sindacalismo di base. E' stata la stagione più feconda, vivace e battagliera, quella che ha insegnato tanto anche a noi». Da allora di cose ne sono successe, ma Bellotti ha continuato a portare avanti le sue idee nel partito, sempre da «posizioni di sinistra, di minoranza». «Sono entrato nel Comitato politico nel '96 ed ero già contro la nostra partecipazione alla maggioranza che sosteneva il governo Prodi».
Allora è vero: ti piace proprio stare all'opposizione... (risatina) Però, hai scelto di rimanere nel Prc.
Scherzi a parte, le scissioni sono un aspetto della crisi che stiamo vivendo. Io considero sempre un errore sottrarsi alla discussione, perché poi arriva il momento, come adesso, in cui c'è da prendere delle decisioni. Da Venezia siamo usciti sapendo che la linea politica della maggioranza avrebbe incontrato difficoltà e scontato contraddizioni. Abbiamo detto no all'espulsione di Franco Turigliatto (il senatore "dissidente", ndr), ma anche ad ogni Aventino. Non è questione di quanti voti hai o non hai; è questione di esserci e poter interloquire con tutti. Ora tutte le posizioni possono avere pari dignità politica.
Cause della sconfitta?
Intanto bisogna capire quando è cominciata. Secondo me, con l'entrata nel governo Prodi. Si sono prodotte due fratture. La prima con i movimenti: e la piazza del 9 giugno contro Bush ne è la manifestazione plastica. La seconda, ben più pesante, con la nostra base sociale di riferimento sul welfare. Si è pensato di poter cambiare in parlamento un accordo che era immodificabile; non si è fatta la battaglia fino in fondo, anche uscendo dal governo. In mezzo, la via crucis di Vicenza, dei Dico, del G8. Una vera e propria grandinata, al punto che i nostri elettori si sono chiesti: a che serve votarli?
E quali rimedi? «Costituente della sinistra», come propone Vendola, o «ricostruzione del Prc e federazione con le altre forze» come sostiene Ferrero?
Prima delle formule dovremmo discutere di contenuti e pratiche. Il guaio di questo partito è proprio che da tempo non discute del proprio programma, guardando a ciò che accade nella società, nel mondo. Quanto alle formule, la costituente della sinistra equivale alla divisione della sinistra; la si sconta in partenza quando si dice "chi ci sta ci sta". Ed è disastroso inseguire altre forze che si stanno sempre più avvicinando al Pd. Il rischio della proposta federativa, invece, è di riprodurre il fallimento che abbiamo già visto e di arrivare ad un superamento del Prc a rate. Inoltre sottrae decisionalità al partito: chi decide cosa? Il problema dell'unità della sinistra c'è, ma deve essere sul piano dell'azione per battaglie comuni, guardando anche alla nostra sinistra e non solo alla nostra destra. E sempre nella chiarezza della proposta politica. La nostra è la mozione "della svolta operaia".
Non vi mette in crisi il fatto che non è più attraverso il lavoro che si formano le identità politiche e sociali?
So anch'io che non ci sono automatismi, ma so anche che se sei schiavo nei luoghi di lavoro lo sei anche fuori. Noi dobbiamo ricostruire un insediamento nei luoghi di lavoro, vecchi e nuovi, nei conflitti che lì si producono, checché ne dica Veltroni. Ovviamente dobbiamo saperli interpretare e praticare, non solo parlarne. Se si parte da lì si hanno le basi per affrontare gli altri veleni (come il razzismo).
Il congresso si giocherà sul filo dei numeri. Avete preso in considerazione l'ipotesi di alleanze?
Noi, intanto, discutiamo nel Cpn e non nei corridoi, come fa qualcuno, e siamo contrari a logiche "parlamentariste" tipo appoggi esterni e via così. Ciò premesso, nel congresso nazionale è vitale che non si affermi la prospettiva liquidatoria del partito. Su questa base, e nella chiarezza, si potrà fare una selezione dei gruppi dirigenti, dai circoli fino al vertice. Selezione sulle effettive capacità di ricostruzione del partito, di ascolto, di farsi carico della difficoltà dell'impresa; persone disposte ad un lavoro sacrificato e volontario. Sarebbe un cambiamento radicale. E a Nichi Vendola vorrei dire una cosa.
Prego.
Vedo una spiegazione unilaterale della sconfitta, tutta proiettata sul versante del mutamento sociale. Mi viene in mente la famosa frase di Brecht: "Se il governo ha perso la fiducia del popolo, è ora di cambiare popolo". E' un falso oggettivismo e un'autoassoluzione: il problema non è che la società è cambiata; il problema sono le risposte che abbiamo dato, le scelte che abbiamo compiuto. In questi anni nel Prc si è fatto tanto dibattito teorico, peccato che scindere le idee dalle battaglie sia un'enormità politica. Si è visto com'è andata. Il comunismo come "atteggiamento culturale? Se qualcuno mi indica un metodo più efficace io sono pronto. Ma finora non ne ho visto nemmeno uno. Perciò io Marx me lo tengo stretto. E anche Gramsci, Lenin e Rosa Luxemburg.

martedì 13 maggio 2008

Ramon Mantovani: Vendola e Liberazione puntano sul carisma del leader...

Dopo il Comitato Politico Nazionale il quotidiano Liberazione che fa? Intervista Nichi Vendola (tutta la seconda e parte della terza pagina, richiamo in prima e due foto) facendogli domande del tipo: Ferrero dice Ferrero propone, in modo che possa rispondere, travisare, mentire. Sabato si era discusso di politica, ma Vendola non ha sentito il bisogno di dire la sua. Però si è “candidato” alla segreteria del partito in una conferenza stampa. E Liberazione lo intervista per questo. Così i lettori, questo è il giochetto sporco, hanno l’impressione che ci sia un candidato del partito e che gli altri siano dissidenti. Così hanno l’impressione che ci siano già due candidati, uno osannato dal popolo e l’altro frutto di un complotto. Così che non si discuta di cosa è successo negli ultimi due anni e di cosa bisogna fare, bensì di presunte identità statiche e di meravigliose capacità suggestive, innovative e comunicative. E’ la prima volta, lo dico per i lettori che non lo sanno, che nel Partito della Rifondazione Comunista, qualcuno annuncia che si candida alla segreteria del partito. Ben sapendo che non sarà il congresso ad eleggerlo bensì il nuovo comitato politico nazionale eletto democraticamente sulla base dei consensi dei diversi documenti. In un partito democratico bisogna prima decidere una linea politica e poi un segretario, non scegliere una persona che poi detterà in modo monarchico la linea che vuole lui. Ciò che ha fatto Vendola è un’altra ferita inferta ad un partito che è stato troppo malato di leaderismo e che così rischia di scivolare nel Veltronismo più bieco. Non a caso Vendola gode già, da diverse settimane, dell’appoggio esplicito del Partito Democratico e di tutto il suo sistema informativo. Vendola, nella conferenza stampa, ha parlato moltissimo di se stesso ed ha detto che salverà il partito, la Puglia e la sinistra in generale. Va bene che ha un filo diretto con Padre Pio e con Dio ma mi sembra un tantino esagerato. O no? Io confido nell’intelligenza delle compagne e dei compagni, nella loro voglia di ragionare, capire, decidere. Evidentemente Vendola confida nella paura del futuro, nell’istinto ad essere rassicurati da un leader o da un falso profeta.
SANSONETTIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII….. Ti comunico che nella mozione che ho firmato, come tutti in ordine alfabetico, siamo tutte e tutti candidati alla segreteria del partito ed abbiamo diritto allo stesso spazio di Vendola. E non chiediamo un giornalista inginocchiato, coma Anubi D’Avossa Lussurgiu, per essere intervistati. Non ne abbiamo bisogno.

Appello a tutta la sinistra per costruire l’opposizione sociale nel Paese, viste le pulsioni consociative che si esprimono in Parlamento

Che Berlusconi dopo aver vinto le elezioni provi a realizzare il suo programma senza conflitti mi pare normale. E´ l´obiettivo di ogni governo. Il problema è la reazione del PD che invece di contrastare i contenuti di questo progetto pare intenzionato al dialogo emendativo. Si ha addirittura l´impressione che il PD cerchi di trarre la propria legittimazione proprio dal riconoscimento che gli viene da Berlusconi. In questo contesto è assolutamente necessario che tutta la sinistra, politica e sociale, si riunisca per costruire una piattaforma di mobilitazione contro i propositi berlusconiani. Che in una situazione in cui un terzo delle famiglie italiane non arrivano a fine mese, l´unica misura ipotizzata sui salari consista nella detassazione degli straordinari e delle liberalità in un quadro di riduzione del peso dei contratti nazionali di lavoro è un fatto vergognoso e destinato a ridurre ulteriormente il potere d´acquisto medio dei salari. Il governo Berlusconi sceglie di foraggiare i grandi interessi anche quando ripropone un piano di grandi opere osteggiate dalle comunità locali in un contesto in cui mancano i soldi per la sanità e gli anziani e non ci sono case popolari per chi ne ha bisogno. Per questo rivolgo un appello a tutta la sinistra per costruire nel paese quella opposizione che il PD pare non voler costruire in Parlamento. Il 2 giugno, già proposto dalla redazione della rivista Carta, potrebbe essere una data buona per una prima assemblea di massa

La Sinistra Arcobaleno non c’è più, inutile tentare di resuscitarla.

Dovrebbe essere chiaro a tutti che la Sinistra Arcobaleno è finita. Il Pdci se né andato, i verdi si presentano al Congresso con tre mozioni, Sinistra democratica è agonizzante e Rifondazione comunista è divisa. Nel migliore dei casi, quel che resta del vecchio progetto sono pezzi che tentano di riunificarsi per dare vita ad un partito bonsai. E’ questa la proposta di Vendola-Bertinotti: un soggetto senza futuro che si candida in prospettiva al confluire nel PD.
L’unica alternativa è rimettere in piedi un partito comunista consistente, cardine della ricostruzione di una unità della sinistra, non ambigua, animata da un autentico pluralismo e legata ad un impegno concreto sulle grandi questioni sociali. Le mezze misure, i patti federativi, le mille proposte che continuano ad illudersi sulla possibilità di costruire un soggetto unitario e plurale, sono destinate ad essere superate dagli eventi.

Gianluigi Pegolo Comitato di Gestione Prc Area de L’Ernesto