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mercoledì 14 maggio 2008

Roberta Fantozzi: Il futuro della sinistra non può essere il leaderismo

Quello che ci apprestiamo a fare è il congresso più difficile, per la sconfitta drammatica che abbiamo subito dentro la vittoria profonda della destra, e per le divisioni che attraversano il gruppo dirigente che ha sin qui guidato Rifondazione. Entrambe queste condizioni richiedono di affrontare il periodo che abbiamo di fronte con scelte attente, in grado di attrezzare una risposta. Per noi, ma anche per le sorti più complessive della sinistra nel nostro paese, a cui non è certo indifferente la nostra discussione.

Abbiamo bisogno innanzitutto di non isolarci da quanto sta avvenendo. Non ce lo possiamo permettere perché il governo Berlusconi è partito in fretta nell'attacco al mondo del lavoro e converge con Confindustria nella volontà di svuotare definitivamente il contratto nazionale, di eliminare uno degli ultimi strumenti di regolazione universalistica dei rapporti fra capitale e lavoro. Diversamente da quanto accadde nel 2002 questa offensiva non è contrastata dalla Cgil nel suo insieme, con il rischio dell'isolamento della Fiom e della sinistra sindacale, e trova sponde pesanti all'interno del PD. Né sfugge come più complessivamente fra rilancio del nucleare, smantellamento del ministero della sanità, trasformazione della clandestinità in reato... si rischi una pesantissima regressione generalizzata. Non isolarsi dal mondo significa fare il congresso, ma non ripiegarsi su di esso, continuare a discutere fuori di noi, costruire da subito l'opposizione, attraverso percorsi che coinvolgano il più ampio schieramento possibile di forze politiche e sociali a sinistra.

La seconda esigenza che abbiamo è quella di provare a confrontarci davvero nel merito delle scelte, di costruire un momento di partecipazione vera, non riducendo la discussione più impegnativa della nostra vita ad una conta di chi sta dietro ad un leader oppure ad un altro. E' per questo che ritengo sbagliato aver candidato ora, a congresso appena iniziato Nichi Vendola alla segreteria. Questa scelta produce una torsione "presidenzialista" del nostro discutere, trasforma il Congresso in un referendum sulla leadership. Così si spiega probabilmente il perché si sia voluto in tutti i modi un congresso a mozioni.

Il congresso a mozioni drammatizza la discussione, impedisce un'operazione di riconoscimento delle differenze e di contemporanea valorizzazione delle condivisioni, produce e ha prodotto il proliferare dei documenti. C'erano mille motivi per evitarlo. Ma certo le mozioni diventano obbligatorie se si vuole enfatizzare la leadership, chiamare a scegliere su questo prima che sul merito. Siamo in una situazione in cui una logica di continue spericolate "accelerazioni" rischia di provocare problemi crescenti. Dagli annunci di superamento di Rifondazione a mezzo stampa in campagna elettorale, mai discussi nel corpo del partito, dalla predisposizione di appelli e percorsi per praticare quell'obiettivo, all'indisponibilità a determinare modalità più serene del nostro confronto e al sovraccaricarsi ulteriore della nostra discussione. Non dubito che Nichi Vendola pensi di stare facendo scelte che ritiene necessarie e che pensi di farlo "per il bene" della sinistra. E' la nostra idea di quello che serve alla sinistra probabilmente ad essere diversa. E credo che una delle differenze di fondo sia su quanto si debba essere adattativi o meno ad un presente che indubbiamente è, nel tempo mediatico, fatto di accelerazioni continue, di riflettori che inquadrano pochi leader, dell'"evento" come modalità necessaria per stare in campo.

Non è certo possibile evitare di fare i conti con lo stato di cose presenti, ma se vogliamo avere un futuro dovremmo dirci che questo passa, dalla necessità di evitare di "strattonare" continuamente quel che resta dei corpi collettivi organizzati, caricandosi sempre dell'esigenza della democrazia, della complessità, della costruzione collettiva. Passa per la consapevolezza del fatto che riradicarsi nella società ha bisogno di tempi lunghi e che nessuna leadership può sostituire la credibilità di un progetto collettivo, come abbiamo dolorosamente sperimentato nel passaggio elettorale. A fronte della frammentazione esistente, della disgregazione in cui siamo immersi, la tentazione di sciogliere il nodo costruendo processi di identificazione iper-verticalizzati è una tentazione evidente, ma non funziona. Significa una cesura, questa sì, non solo con una lunga storia, ma con quanto ci siamo detti sulla necessità di costruire una risposta alla crisi della politica nella ridensificazione delle relazioni sociali, nella democrazia partecipativa. Di questo deve discutere il nostro congresso. Per questo vogliamo che Rifondazione ci sia con il suo progetto e il suo patrimonio di insediamento. Che ci sia e si trasformi, con la capacità di fare società, di essere partito sociale, in rete con le mille forme di associazioni, movimenti, iniziative che hanno prodotto soggettività critiche e organizzazione del conflitto.

Il nostro congresso deve anche discutere di quale rapporto vogliamo avere con il Partito Democratico, la cui strategia dentro l'esperienza di governo (le scelte prevalenti di quanto è poi confluito nel PD) e nella campagna elettorale è stata all'origine della sconfitta. Per l'incapacità di uscire dall'orizzonte delle politiche neoliberiste e produrre l'inizio di un cambiamento percepibile. Ora siamo alla linea dell'"opposizione non pregiudiziale" nei confronti di un governo delle destre, all'attacco su tutti i fronti. E' senz'altro possibile che dentro il PD ci siano articolazioni di linea sull'opposizione a Berlusconi, come ci sono sul perseguire o meno l'obbiettivo della cancellazione della sinistra politica nel nostro paese. Ma è evidentissima la necessità di avere il massimo di autonomia nei rapporti con il PD, di interlocuzione se sarà possibile o di critica netta, come pare necessario.

Vendola ancora ieri ha rivendicato il duplice ruolo, di Presidente della Regione Puglia e di possibile segretario del Partito. I due ruoli non si possono sovrapporre e non solo per quanto ci siamo detti a Carrara. E' impensabile essere contemporaneamente espressione di una coalizione che ha come attore decisivo il Partito Democratico e segretario di un partito che deve esser libero di criticarlo. La compromissione della nostra autonomia, tanto più in una situazione in cui siamo privi di rappresentanza in Parlamento, sarebbe drammatica. Il rilancio del progetto della rifondazione, la nostra autonomia, la strategia di fondo per uscire dalla crisi della politica e della società, sono quello di cui dovremo discutere al congresso. Di questo si tratta. Per noi e per la sinistra. Il futuro non dipende da nessun leader.

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