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lunedì 28 aprile 2008

La rifondazione tutta da fare

di Ramon Mantovani su Il Manifesto del 27/04/2008

Quella di Nichi Vendola, nell'intervista di venerdì scorso al manifesto (clicca qui per leggere l'intervista), mi sembra un'operazione che nasconde i veri problemi e sposta la discussione su un terreno ideologico, in un'auspicata contesa innovatori contro conservatori.
Insistere nel dire che ci sarebbe stata un resa dei conti e che la proposta del congresso a tesi sarebbe una furbizia, non è un bel modo per discutere. Chi non era d'accordo con la realizzazione degli annunci di Bertinotti, di Giordano e dello stesso Vendola, mai discussi prima nel partito, che avrebbero reso irreversibile il processo di dissoluzione del Prc, l'ha impedito con un voto e con una posizione limpida. Lo abbiamo fatto per restituire, prima che fosse troppo tardi, la parola agli iscritti e a quanti, nella sinistra, sono interessati a una discussione di prospettiva. Sarebbe interessante discutere della prospettiva piuttosto che di golpe o di contraddizioni tra i golpisti.
Come Nichi sa io mi sono opposto, fin dall'anno scorso, alla scorciatoia politicista dell'unità dall'alto. Mi sembrava e mi sembra un fuggire dal problema del governo in compagnia di forze che hanno sempre fatto della collocazione di governo il loro orizzonte strategico. Su questo Nichi non dice nulla e insiste, invece, a proporre di «ricostruire il campo della sinistra» con l'idea, curiosa, che si sa dove si comincia e non si deve sapere dove si finisce, anche nella relazione con il Pd.
Io non sono appassionato alle formulette organizzative. Mi interessa riprendere il cammino del «fare società» e dello stare «nei» movimenti, da dove è stato interrotto per l'esperienza di governo. Vorrei che l'idea dell'unità alla base della Sinistra Arcobaleno fosse completamente rovesciata. Non il «mettiamoci insieme», sorvolando su questioni strategiche come il governo, per poi vedere cosa viene fuori, bensì il ripartiamo dalle lotte, dal nostro insediamento sociale, che c'è ancora, da contenuti chiari, e su queste basi costruiamo l'unità. Per questo il patrimonio del Prc non deve essere disperso. L'innovazione che ci ha contraddistinti in questi anni non va perduta perché è indispensabile per affrontare il nostro tempo. E' l'averla ridotta a litania ripetuta, ma non praticata, a fiore all'occhiello da esibire per guadagnare l'apprezzamento di alcuni salotti buoni, che l'ha messa a rischio.
Il congresso su tesi emendabili dall'alto e dal basso, con la chiarezza del voto su opzioni politiche riguardanti il partito e la sinistra, e con una discussione libera su molte altre cose, comprese le culture politiche che sono un campo di ricerca e non uno strumento al servizio di questa o quella scelta immediata, è una proposta unitaria, non una furbizia. Sostenere che chi è per la non violenza deve per forza essere per la costituente e che chi vuole mantenere in vita il partito lo vuol fare cancellando la nonviolenza, questo sì è una furbizia. Possiamo davvero fare un congresso utile a noi e a tutta la sinistra proprio se, dopo una catastrofe di queste dimensioni, siamo capaci di rimetterci in discussione anche parlando, dolorosamente, degli errori commessi e di che cosa ci divide e di che cosa ci unisce, piuttosto che cercare una finta unità del gruppo dirigente, alla ricerca di un'autoassoluzione. Bisogna bandire le doppie verità, quelle per il gruppo dirigente e quelle per i militanti, quelle per la tv e quelle per i congressi, quelle per gli amici e quelle per i nemici. E bisogna parlare di politica e non di leader.
So bene quanto l'idea del leader salvifico, capace di comunicare in tv e di parlare suscitando emozioni, sia penetrata in un corpo politico confuso e reso impotente, proprio perché espropriato del diritto di decidere del proprio destino. Ma una discussione personalizzata fino al parossismo produrrebbe solo divisioni insanabili e un esodo di proporzioni ancor più grandi di quelle che abbiamo conosciuto nella nostra vita politica. Non si tratta di lapidare nessuno, caro Nichi, e comunque sono i mujaheddin del popolo a essere lapidati e impiccati dai seguaci dell'ayatollah che incarna l'unità indissolubile della cultura religiosa e della politica di stato.

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