Serve a qualcosa la legge approvata dal nostro parlamento nel 2000, su iniziativa del centro-sinistra e del deputato Furio Colombo, per celebrare la liberazione del lager di Auschwiz, il fallimento della «soluzione finale» di Hitler e i milioni di donne, uomini e bambini massacrati nei campi di concentramento e di annientamento nazisti?
In un momento nel quale l'antisemitismo sembra ritornare di attualità anche da parte di forze che si riferiscono alla sinistra piuttosto che alla destra e in cui Israele si difende anche uccidendo civili, donne e bambini?
Si può rispondere di sì, se utilizziamo questo giorno per capire che cosa è successo nell'Europa e nell'Italia di quegli anni e cerchiamo di non ripetere gli stessi errori. Ma dobbiamo prendere atto di alcune cose che oggi tanti fingono di dimenticare.
La prima è che quei delitti furono commessi non da mostri ma da uomini comuni in Germania, in Italia, in tutta l'Europa del tempo. E che, violenza, guerra, negazione di democrazia, hanno continuato ad avere campo dopo il 1945 e continuano ad averlo oggi soprattutto in altre zone del mondo, a cominciare dal Medio Oriente, dalla Palestina e da Israele.
In un contesto diverso, bisogna ricordarlo. Allora regimi fascisti e tendenzialmente totalitari governavano una parte notevole dell'Europa e dell'Occidente, in quegli anni tentarono in maniera coerente di eliminare gli ebrei e tutti gli oppositori del Terzo Reich con l'aiuto di stati collaborazionisti come il regime di Vichy in Francia, la Repubblica Sociale in Italia, Quisling in Norvegia e furono vicini a riuscirci.
Basta ricordare alcune cifre che emergono dalle ricerche storiche degli ultimi anni: più di ottomila ebrei italiani morti nei lager, ventitremila deportati politici di cui più di diecimila non tornarono a casa, quasi ottocentomila militari internati nei campi tedeschi e decisi salvo la piccola percentuale del 5 per cento a non aderire alla Germania nazista.
Oggi quei regimi non esistono più e piuttosto convivono, a livello mondiale, democrazie imperfette con regimi tendenzialmente autoritari come quello della Russia di Putin, della Cina ex comunista e così via.
Le attuali democrazie sono non solo imperfette e contraddittorie ma, con tutta evidenza, in crisi perché gli stati nazionali contraddicono alla economia globale ma non si creano i necessari ordinamenti sovrannazionali.
Le guerre parziali e le violenze sono ancora troppo presenti. Gli uomini non riescono a vivere in pace e si contendono ancora la terra e le risorse economiche nel mondo.
E ancora si contrappongono sul piano ideologico-identitario come è il caso della disputa in Medio Oriente: lo scontro tra i palestinesi di Hamas e lo stato di Israele è fermo ancora al riconoscimento dello stato ebraico e non porterà alla pace, se non si uscirà dal contrasto sulla identità.
L'Iran ha assunto la leadership della tendenza più radicale che è contro la possibilità di trovare una via di conciliazione all'interno dell'Oriente e tra Oriente e Occidente.
Ma la tentazione di proseguire la politica di Bush che ha portato a danni assai gravi esiste ancora nonostante la presidenza di Obama in alcuni alleati europei.
E' difficile sperare che questo formidabile groviglio possa essere sciolto rapidamente dal nuovo presidente americano, se l'Europa non supererà la sua afasia e non farà la sua parte all'interno dell'Occidente.
C'è, insomma, il rischio di tornare indietro e di vedere riprodursi la barbarie e i massacri degli anni quaranta, se non si riesce a voltare pagina.
La crisi economico-finanziaria attuale può, con ogni probabilità, durare almeno per tutto il 2009 e finire non si sa quando. In questa situazione è più difficile la difesa e il progresso della democrazia, rispetto ai rischi indubbi di ritorno all'autoritarismo e ai governi personali, come quello di Putin in Russia e di Berlusconi in Italia.
La lunga avventura di Berlusconi, che si avvia a durare vent'anni, avviene in una «nazione difficile» come scrisse Giuseppe Galasso nel '94 e ora ha ripetuto lo storico inglese Duggan nella sua storia d'Italia.
Soltanto così si spiega l'ulteriore involuzione della democrazia repubblicana.
Non c'è da temere che si possa ritornare a forme storiche di fascismo ma certo possono, tuttavia, definirsi forme di governo che sono in contrasto con la separazione dei poteri, con lo stato di diritto, con il dettato costituzionale e un simile esito non può non preoccupare tutti quelli che si sono battuti per la democrazia e l'eguaglianza di tutti i cittadini.
Questa è la principale preoccupazione che si può avere in questa giornata della memoria del 27 gennaio 2009.
E' paradossale che, proprio quando ormai le ricerche storiche dimostrano a sufficienza che la «soluzione finale» che si tentò nella seconda guerra mondiale non fu soltanto la follia di Adolf Hitler ma un progetto del fascismo europeo e di quello repubblicano mussoliniano in Italia, si colgono le crepe e le difficoltà di una democrazia come quella italiana che pure è stata fondata proprio sulla lotta al fascismo.
Come si fa a uscire da un simile paradosso?
E come si può spingere gli italiani a svegliarsi da un lungo sonno e a lottare di nuovo per i nostri ideali repubblicani?
Non è una battaglia soltanto della sinistra ma di tutte le donne e gli uomini di buona volontà che hanno creduto nei principi fondamentali della costituzione repubblicana e che non possono abbandonarli ora che ce ne è più bisogno.
La battaglia principale occorre condurla su queste basi, mettendo da parte, a sinistra come altrove, le divisioni ideologiche tra chi si sente comunista o socialista e chi si sente democratico prima di ogni altra cosa.
O si riesce in questa impresa o vinceranno gli uomini e le forze che non hanno mai accettato i principi costituzionali e non vedono l'ora di metterli da parte e che credono di fatto al potere personale, versione moderna della dittatura.
Si può rispondere di sì, se utilizziamo questo giorno per capire che cosa è successo nell'Europa e nell'Italia di quegli anni e cerchiamo di non ripetere gli stessi errori. Ma dobbiamo prendere atto di alcune cose che oggi tanti fingono di dimenticare.
La prima è che quei delitti furono commessi non da mostri ma da uomini comuni in Germania, in Italia, in tutta l'Europa del tempo. E che, violenza, guerra, negazione di democrazia, hanno continuato ad avere campo dopo il 1945 e continuano ad averlo oggi soprattutto in altre zone del mondo, a cominciare dal Medio Oriente, dalla Palestina e da Israele.
In un contesto diverso, bisogna ricordarlo. Allora regimi fascisti e tendenzialmente totalitari governavano una parte notevole dell'Europa e dell'Occidente, in quegli anni tentarono in maniera coerente di eliminare gli ebrei e tutti gli oppositori del Terzo Reich con l'aiuto di stati collaborazionisti come il regime di Vichy in Francia, la Repubblica Sociale in Italia, Quisling in Norvegia e furono vicini a riuscirci.
Basta ricordare alcune cifre che emergono dalle ricerche storiche degli ultimi anni: più di ottomila ebrei italiani morti nei lager, ventitremila deportati politici di cui più di diecimila non tornarono a casa, quasi ottocentomila militari internati nei campi tedeschi e decisi salvo la piccola percentuale del 5 per cento a non aderire alla Germania nazista.
Oggi quei regimi non esistono più e piuttosto convivono, a livello mondiale, democrazie imperfette con regimi tendenzialmente autoritari come quello della Russia di Putin, della Cina ex comunista e così via.
Le attuali democrazie sono non solo imperfette e contraddittorie ma, con tutta evidenza, in crisi perché gli stati nazionali contraddicono alla economia globale ma non si creano i necessari ordinamenti sovrannazionali.
Le guerre parziali e le violenze sono ancora troppo presenti. Gli uomini non riescono a vivere in pace e si contendono ancora la terra e le risorse economiche nel mondo.
E ancora si contrappongono sul piano ideologico-identitario come è il caso della disputa in Medio Oriente: lo scontro tra i palestinesi di Hamas e lo stato di Israele è fermo ancora al riconoscimento dello stato ebraico e non porterà alla pace, se non si uscirà dal contrasto sulla identità.
L'Iran ha assunto la leadership della tendenza più radicale che è contro la possibilità di trovare una via di conciliazione all'interno dell'Oriente e tra Oriente e Occidente.
Ma la tentazione di proseguire la politica di Bush che ha portato a danni assai gravi esiste ancora nonostante la presidenza di Obama in alcuni alleati europei.
E' difficile sperare che questo formidabile groviglio possa essere sciolto rapidamente dal nuovo presidente americano, se l'Europa non supererà la sua afasia e non farà la sua parte all'interno dell'Occidente.
C'è, insomma, il rischio di tornare indietro e di vedere riprodursi la barbarie e i massacri degli anni quaranta, se non si riesce a voltare pagina.
La crisi economico-finanziaria attuale può, con ogni probabilità, durare almeno per tutto il 2009 e finire non si sa quando. In questa situazione è più difficile la difesa e il progresso della democrazia, rispetto ai rischi indubbi di ritorno all'autoritarismo e ai governi personali, come quello di Putin in Russia e di Berlusconi in Italia.
La lunga avventura di Berlusconi, che si avvia a durare vent'anni, avviene in una «nazione difficile» come scrisse Giuseppe Galasso nel '94 e ora ha ripetuto lo storico inglese Duggan nella sua storia d'Italia.
Soltanto così si spiega l'ulteriore involuzione della democrazia repubblicana.
Non c'è da temere che si possa ritornare a forme storiche di fascismo ma certo possono, tuttavia, definirsi forme di governo che sono in contrasto con la separazione dei poteri, con lo stato di diritto, con il dettato costituzionale e un simile esito non può non preoccupare tutti quelli che si sono battuti per la democrazia e l'eguaglianza di tutti i cittadini.
Questa è la principale preoccupazione che si può avere in questa giornata della memoria del 27 gennaio 2009.
E' paradossale che, proprio quando ormai le ricerche storiche dimostrano a sufficienza che la «soluzione finale» che si tentò nella seconda guerra mondiale non fu soltanto la follia di Adolf Hitler ma un progetto del fascismo europeo e di quello repubblicano mussoliniano in Italia, si colgono le crepe e le difficoltà di una democrazia come quella italiana che pure è stata fondata proprio sulla lotta al fascismo.
Come si fa a uscire da un simile paradosso?
E come si può spingere gli italiani a svegliarsi da un lungo sonno e a lottare di nuovo per i nostri ideali repubblicani?
Non è una battaglia soltanto della sinistra ma di tutte le donne e gli uomini di buona volontà che hanno creduto nei principi fondamentali della costituzione repubblicana e che non possono abbandonarli ora che ce ne è più bisogno.
La battaglia principale occorre condurla su queste basi, mettendo da parte, a sinistra come altrove, le divisioni ideologiche tra chi si sente comunista o socialista e chi si sente democratico prima di ogni altra cosa.
O si riesce in questa impresa o vinceranno gli uomini e le forze che non hanno mai accettato i principi costituzionali e non vedono l'ora di metterli da parte e che credono di fatto al potere personale, versione moderna della dittatura.
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