di Roberta Fantozzi - segr. nazionale Area lavoro e welfare
Abbiamo avviato già da domenica la campagna davanti ai luoghi di lavoro, in preparazione dello sciopero generale del 12 dicembre. Un calendario di iniziative organizzate in pochissimi giorni, a cui molte altre si stanno aggiungendo. Volantinaggi, ma anche incontri e assemblee con le lavoratrici e i lavoratori, dibattiti. Davanti alle fabbriche, ai luoghi della produzione industriale, ma anche nei servizi, dai trasporti alle grandi aziende del commercio, al lavoro pubblico. La volontà è quella di un percorso non episodico, che ricostruisca reti di relazioni e presenza organizzata. Un percorso che si intreccia con l'inchiesta, a partire da quella che svilupperemo nei prossimi giorni sui primi effetti della crisi: sul terreno della materialità dei processi ma anche del vissuto e della soggettività di lavoratrici e lavoratori.
Abbiamo avviato già da domenica la campagna davanti ai luoghi di lavoro, in preparazione dello sciopero generale del 12 dicembre. Un calendario di iniziative organizzate in pochissimi giorni, a cui molte altre si stanno aggiungendo. Volantinaggi, ma anche incontri e assemblee con le lavoratrici e i lavoratori, dibattiti. Davanti alle fabbriche, ai luoghi della produzione industriale, ma anche nei servizi, dai trasporti alle grandi aziende del commercio, al lavoro pubblico. La volontà è quella di un percorso non episodico, che ricostruisca reti di relazioni e presenza organizzata. Un percorso che si intreccia con l'inchiesta, a partire da quella che svilupperemo nei prossimi giorni sui primi effetti della crisi: sul terreno della materialità dei processi ma anche del vissuto e della soggettività di lavoratrici e lavoratori.
Non è un optional lo sviluppo di questo percorso. Non lo è rispetto all'obiettivo decisivo della riuscita dello sciopero generale, non lo è rispetto al contesto in cui ci muoveremo nei prossimi mesi. La crisi determina uno scenario pesantissimo. Con la cassa integrazione che si moltiplica e con il problema, per chi vi accede, di come riuscire ad arrivare alla fine del mese con il salario decurtato, se già non ci si arrivava prima. Con il problema drammatico dei precari. Quattro milioni di persone prive di ogni garanzia, seicentomila già a rischio per il sommarsi della crisi economica nell'industria con i provvedimenti del governo sul lavoro pubblico. Con il dramma aggiuntivo dei lavoratori migranti, che per una legge razzista e incivile rischiano di perdere con il lavoro, il permesso di soggiorno: espulsi o ricacciati nell'irregolarità, magari dopo anni di lavoro in questo paese.
La ricetta della Lega per gestire la crisi è tanto semplice quanto barbara: trasformare l'ansia in un salto di qualità nella produzione di capri espiatori, di conflitto orizzontale, di ferocia sociale. La chance di contrastare la regressione possibile sta nella messa in campo di un'iniziativa a tutto tondo: di denuncia, di piattaforma, di conflitto, che ricostruisca nella crisi una connessione, che consenta di individuare nuovamente a sinistra la possibile via d'uscita. Non è un esito scontato, se è vero come è vero che non solo siamo nell'onda lunga di una sconfitta trentennale, ma che la sinistra ha consumato nell'attraversamento recente della fase di governo la propria credibilità. E' un percorso che richiede idee, proposte, modificazioni delle modalità dell'agire politico, come dimostra il successo dei gruppi di acquisto popolare, la pratica di forme di mutualismo che rispondano alla disgregazione ricostruendo anche per questa via la possibilità di riconoscersi come parte di un'agire collettivo.
Saremo dunque nelle prossime settimane davanti ai luoghi di lavoro, con la volontà di avviare un percorso lungo, dentro le contraddizioni esistenti.
Diremo che la crisi non è piovuta dal cielo, ma è la conseguenza di trent'anni di politiche neoliberiste, in cui la deregolamentazione selvaggia della finanza è stata l'altra faccia della medaglia di un mondo di bassi salari, di una gigantesca redistribuzione della ricchezza prodotta a favore di profitti e rendite, in cui il consumo è stato garantito dal crescente indebitamento dei lavoratori, mentre nei paradisi fiscali si concentra un quarto della ricchezza mondiale prodotta ogni anno. Diremo che ci vuole un aumento significativo di salari e pensioni e un salario sociale per rispondere alla crisi con uno strumento generale di garanzia rispetto alle mille frammentazioni delle tipologie di lavoro, alle tante facce della precarietà e che le risorse vanno prese dalla rendita, dall'evasione fiscale e contributiva, dalla tassazione dei movimenti speculativi di capitali.
Diremo che il ritrarsi del pubblico, privatizzazioni e liberalizzazioni, invece dei benifici annunciati dalla propaganda liberista, non sono stato altro che il modo per promuovere un gigantesco processo di spoliazione, sfruttamento e messa a valore della natura oltre che del lavoro, all'origine di una crisi ambientale, energetica e climatica, che richiede un cambiamento radicale dei modelli di sviluppo. Per sottrarre spazi alla logica di mercato, alla valorizzazione del capitale come meccanismo sovradeterminante dei processi di riproduzione sociale e riconsegnarli alla scelta democratica, alla sovranità collettiva sul proprio futuro.
La elaborazione di una piattaforma all'altezza della crisi della globalizzazione capitalistica, deve accompagnarsi alla capacità di costruire un senso comune di massa su a chi imputare la responsabilità della situazione presente, opposta all'operazione reazionaria delle destre, generalizzando la consapevolezza espressa dal movimento degli studenti.
La politica del Governo Berlusconi e di Confindustria, ha fin qui determinato una manovra pesantissima di tagli e ristrutturazione del sistema di welfare, dalla sanità agli enti locali, intrecciata all'attacco ai diritti del lavoro. Un attacco che dalla legge 133 alla controriforma del processo del lavoro, agli annunci sul diritto di sciopero, ha avuto e ha al suo centro la riscrittura del sistema della contrattazione, la volontà di frammentare e impoverire ulteriormente i lavoratori, cancellare l'autonomia del sindacato, riscriverne il ruolo: "complice" delle imprese nella gestione dei rapporti di lavoro e di interi pezzi di uno stato sociale da cui la presenza pubblica si ritrae ulteriormente. Ora a fronte della crisi, la sua ricetta è quella di destinare risorse pubbliche al sistema bancario lasciando invariati assetti proprietari e modalità di funzionamento, puntare sulle grandi opere, destinando pochissimo alle fasce sociali più disagiate.
Lo sciopero generale del 12 indetto dalla Cgil e dai sindacati di base, deve rappresentare per noi e per l'intera sinistra il modo per far vivere nel dibattito pubblico e a livello di massa una proposta radicalmente alternativa a quelle politiche, per costruire una uscita da sinistra alla crisi di un intero modello di sviluppo.
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