A chi ci chiede per quale motivo manifestare a Roma l’11 ottobre sarebbe forse semplice rispondere domandando come si può non scendere in piazza in un momento come questo. Il governo più reazionario nella storia della Repubblica ha aperto il fuoco e nel mirino ci sono tutti. Ci sono i lavoratori di Alitalia e c’è l’intera istruzione pubblica, dalle elementari all’università, con tutti coloro che vi lavorano e studiano; ci sono gli immigrati, oggetto di provvedimenti ignobili e di una campagna di criminalizzazione e repressione anche questa senza precedenti nel nostro paese. Ci sono i dipendenti pubblici, genericamente definiti “fannulloni”. Ci sono i diritti di tutti i lavoratori italiani, sui quali Confindustria si sta scagliando armata di piccone tentando di demolire il contratto nazionale di lavoro, e con esso qualsiasi idea di sindacato che non sia rigidamente inquadrato nell’impresa e nelle superiori ragioni della produttività e del profitto. Ci sono delegati sindacali eletti dai lavoratori come Dante De Angelis, licenziato da Trenitalia per aver denunciato le carenze della sicurezza sui treni. Ci sono i lavoratori interinali colpiti dal decreto Brunetta. C’è il mezzogiorno, messo a rischio dalla cosiddetta riforma federalista. C’è quel che resta di pubblico nella nostra industria e nei nostri servizi. Le destre passano all’incasso della vittoria elettorale di aprile e i poteri forti, anche quelli che nelle elezioni pendevano verso il Partito democratico, si allineano alla velocità della luce. La cordata dei “salvatori”, o meglio degli affossatori, di Alitalia è piena di nomi legati al Pd, da Corrado Passera a Colaninno. La classe dominante si ricompone attorno a Berlusconi e sulle macerie della sinistra massacrata nelle elezioni di aprile tenta una volata in una gara senza avversari. Non si può certo dire infatti che il Partito democratico costituisca un elemento di contraddizione rispetto all’offensiva della destra. Privati della posizione di governo e senza una credibile prospettiva di ritornarvi a breve termine, Veltroni e compagnia girano a vuoto, parlano un giorno di dialogo con Berlusconi e il giorno dopo promettono di fare opposizione, in entrambi i casi approdando al nulla. Su tutti i temi sopra elencati, al di là delle parole più o meno risonanti, il Pd non è in grado di esprimere una vera opposizione per il semplice fatto che le sue concezioni partono in larga misura dalle stesse premesse di quelle del governo e a maggior ragione di Confindustria. Prova visiva di quanto scriviamo è stata l’immagine di Colaninno junior che in qualità di “ministro ombra” balbettava i suoi commenti sulla partecipazione di Colaninno senior all’operazione su Alitalia… È vero che il Pd scenderà in piazza a fine ottobre; per cosa, però, non si sa. L’offensiva del capitale mira lontano e profondo, dobbiamo saperlo, e sulla sua traiettoria c’è la Cgil. Il gruppo dirigente del maggiore sindacato italiano brancola nel buio più totale. L’intera stagione aperta dai famigerati accordi del 1992-93 è arrivata al capolinea, neppure la gabbia concertativa basta più a un’industria italiana in piena crisi di competitività. Oggi, a quarant’anni dal ’68, a gridare “vogliamo tutto!” sono i padroni. Epifani si trova di fronte alla scelta fra due mali: o capitolare di fronte ai ricatti del governo (Alitalia) e di Confindustria (modello contrattuale), sdraiandosi sulla linea della Cisl e aprendo un forte conflitto interno alla Confederazione; oppure rompere, alzarsi da quei tavoli-trappola e andare a uno scontro frontale in condizioni politiche estremamente sfavorevoli, un conflitto che la maggioranza della Cgil non vuole e non prepara e che guarda con sospetto e paura. Queste sono le partite aperte, le partite decisive delle prossime settimane e mesi, nelle quali la posta in gioco è altissima; dal loro esito si determinerà infatti la possibilità o meno per Berlusconi di gettare le basi non solo di un governo, ma di un vero e proprio “regno” la cui durata sarebbe a quel punto difficile prevedere; e contemporaneamente si determinerà la sorte della Cgil, forse persino la sua integrità organizzativa, e l’intero schieramento della sinistra e del movimento operaio italiano nella prossima fase. E qui entra in campo la data dell’11 ottobre, al cui appello di convocazione Rifondazione comunista ha dato formalmente adesione nel Comitato politico nazionale del 13 settembre. L’11 ottobre può, deve servire a un compito fondamentale: creare un primo momento di raccolta, di unione, di alleanza fra tutti coloro che sentono la necessità di questo conflitto. È uno strumento per rompere l’isolamento, che è oggi il nostro primo nemico. Lavoriamo affinché in quella piazza ci siano tutti; non si tratta di fare l’appello dei reduci dell’Arcobaleno, ma di coinvolgere tutti coloro che devono affrontare l’attacco del governo. Ci vengano gli insegnanti che la Gelmini vuole tagliare e gli studenti che vorrebbe ricacciare nella scuola classista di quarant’anni fa; ci vengano i lavoratori Alitalia in lotta per il lavoro, ci vengano i dipendenti pubblici senza contratto e i militanti della Fiom e della sinistra sindacale che lottano per strappare la Cgil alla deriva concertativa… ci vengano tutti questi e tanti altri, portino in quella piazza le loro rivendicazioni, le loro lotte e anche le tante cose che l’appello non dice o dice male (ahi! questi “intellettuali”, queste “personalità”…). Se riusciremo a farla così, allora questa manifestazione non sarà né una sfilata, né un rito, ma può diventare il trampolino di lancio per un autunno caldo senza il quale non possiamo neppure sognarci di fermare l’offensiva avversaria. Se l’11 riesce bene sarà di aiuto a tutti, a partire dallo sciopero convocato dai sindacati di base per il 17 ottobre, una data alla quale il Prc ha dato pure adesione e che può essere importantissima particolarmente nel mondo della scuola in subbuglio. Siamo quasi a un anno dal 20 ottobre 2007. Quella piazza fu grande, grandissima, e altrettanto grande fu il tradimento delle speranze di quelle centinaia di migliaia di lavoratori e di compagni. Fu quindi una manifestazione sconfitta; eppure anche nella sconfitta fu un sussulto importante, il più forte, di un popolo della sinistra che sentiva che lo si stava portando nella palude e tentava uscirne prima che fosse troppo tardi. Fu anche, lo si vede ancora meglio retrospettivamente, un elemento di resistenza forte contro le tendenze dissolutorie che pochi mesi dopo avrebbero portato Rifondazione sull’orlo della distruzione. Se oggi possiamo scendere ancora in piazza, lo dobbiamo anche a quella manifestazione. Allora fu l’ultima battaglia in una guerra persa. Lavoriamo perché l’11 ottobre 2008 sia invece il primo passo nella risalita di una nuova Rifondazione comunista e delle ragioni dei lavoratori!
martedì 23 settembre 2008
Tutti a Roma l'11 ottobre!
alle 10:03
Etichette: falcemartello, Partito della Rifondazione Comunista
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento